La guerra per i diritti


L'intento principale dei governi occidentali è sottolineare l'intervento umanitario della Nato in difesa dei profughi kosovari, per consolidare il consenso interno ai singoli paesi partecipanti e per enfatizzare il ruolo delle democrazie contro la pulizia etnica serba. I mass media sostengono in larga parte queste posizioni.

Bill Clinton, presidente degli Stati Uniti il 23 maggio si rivolge all'opinione pubblica con un articolo, in cui dichiara le intenzioni degli Usa e dell'Alleanza Atlantica: contrapporsi alla grande minaccia dell'instabilità dei Balcani. La pulizia etnica è intollerabile per i paesi democratici e il vero nemico è Milosevic. Non è possibile intervenire contro tutti i conflitti etnici, ma in Kosovo l'azione atlantica può essere determinante per fermare i massacri. La strategia aerea consente di raggiungere tre risultati:
1) è efficace: i profughi torneranno a casa e saranno protetti da una forza internazionale di sicurezza, sotto il controllo Nato;
2) consolida l'unità della Nato;
3) rafforza il rapporto con la Russia.
A conclusione del conflitto l'Unione europea e gli Stati Uniti si impegneranno in un imponente piano di ricostruzione e di sostegno alle economie dei paesi dell'Europa sud-orientale.
Durante tutto lo svolgimento della guerra, Clinton deve far fronte a una durissima contestazione nel Congresso da parte del partito repubblicano sull'efficacia e l'utilità dell'intervento.

Le opinioni del presidente, da cui sono tratti tre brani, sono state pubblicate con il titolo La mia guerra giusta su "La Stampa", 24 maggio 1999.

Siamo impegnati in Kossovo con i nostri alleati per un‘Europa che, per la prima volta nella storia , sia pacifica, unita e libera. E siamo lì per contrastare l’ultima grande minaccia a quel grande obiettivo: l’instabilità nei Balcani , scatenata da un infame campagna di pulizia etnica.
Il problema non si limita all’odio etnico e nemmeno al conflitto etnico. Per secoli i popoli dell’ex Yugoslavia hanno convissuto con conflitti più o meno aperti, ma mai con la costante "pulizia " di popoli dalla loro terra . Se non fosse così, le loro nazioni sarebbero oggi omogenee, e non indefinitamente diversificate.
Le incontrollabili condizioni in cui la ragione si trova attualmente sono il risultato di una campagna decennale di Slobodan Milosevic per costruire una "Grande Serbia", destinando interi popoli alla distruzione a causa della loro etnia e della loro fede. I suoi metodi brutali sono ormai noti : diffondere l’odio attraverso i media, uccidere i leader moderati, armare milizie paramilitari ed ordinare ai soldati di condurre campagne pianificate di uccisioni e deportazioni , sradicare la cultura, le tradizioni, la stessa registrazione anagrafica delle vittime. I rifugiati non sono un sottoprodotto dei conflitti che egli ha iniziato: i conflitti sono ideati per creare profughi.
Ci perseguitano le immagini di persone strappate alle proprie case, che trasportano i propri vecchi in scalcagnate carriole e raccontano storie di parenti uccisi.

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Non siamo in grado di reagire dappertutto a simili tragedie, ma quando il conflitto etnico si trasforma in pulizia etnica, ovunque la nostra azione possa essere determinante, dobbiamo tentare. E questo è il caso del Kossovo. Se avessimo mancato a quest’imperativo, il risultato sarebbe stato un disastro morale e strategico. I Kossovari sarebbero divenuti un popolo senza patria , condannati a vivere in condizioni difficili in alcuni dei Paesi più poveri d’Europa , le cui democrazie sono ancora fragili. Il conflitto balcanico sarebbe continuato indefinitamente, minacciando di estendersi in una guerra più vasta ed in continue tensioni con la Russia. La stessa Nato sarebbe stata screditata per aver mancato di difendere gli stessi valori che danno senso all’Alleanza. Chi dice che il Kossovo è troppo piccolo per avere grande importanza dimentica queste semplici verità.
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Infine, dobbiamo ricordare che la sconfitta della pulizia etnica in Kossovo non è sufficiente a por fine al conflitto etnico nei Balcani e ad assicurare una durevole stabilità . L’Unione europea e gli Stati Uniti devono fare per l’Europa sud- orientale quel che noi facemmo per l’Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale, e per l’Europa centrale dopo la guerra fredda. Libertà , rispetto per i diritti delle minoranze e prosperità sono potenti fattori di progresso. Essi danno ai popoli degli obiettivi per cui lavorare, elevano la speranza al di sopra della natura e il domani al di sopra del passato.
Possiamo farlo ricostruendo economie disastrate, incoraggiando il commercio e gli investimenti ed aiutando le nazioni della ragione ad aderire alla Nato ed all’ Unione europea.