LA POSIZIONE DI CLINTON
(23 maggio 1999)

 

"Siamo impegnati in Kosovo con i nostri alleati per un' Europa che, per la prima volta nella storia sia pacifica, unita e libera. E siamo lì per contrastare l'ultima grande minaccia a quel grande obiettivo: l'instabilità dei Balcani, scatenata da un'infame campagna di pulizia etnica. (…)
Le intollerabili condizioni in cui la regione si trova sono il risultato di una campagna decennale di Slobodan  Milosevic per costruire una "Grande Serbia", destinando interi popoli alla distruzione a causa della loro etnia e della loro fede. I suoi metodi brutali sono ormai noti. (…) Ci perseguitano le immagini di persone strappate dalle loro case. (…)
In un primo momento la comunità internazionale reagì con studiata neutralità, equiparando le vittime agli aggressori. Poi con la diplomazia e schierando truppe di pace disarmate, con il mandato di difendere i civili, ma senza i mezzi per farlo. Quando la Nato entrò in azione, 250 mila persone erano già state uccise, oltre 2 milioni deportate, e molte non hanno ancora fatto ritorno a casa. In futuro, pensando al Kosovo, si dirà che in quest'occasione sono state salvate più vite, e che tutti i rifugiati sono tornati a casa, perché abbiamo agito rapidamente e con forza sufficiente.
Non siamo in grado di reagire dappertutto a simili tragedie, ma quando il conflitto etnico si trasforma in pulizia etnica, ovunque la nostra azione possa essere determinante, dobbiamo tentare. E questo è il caso del Kosovo. Se avessimo mancato a questo imperativo, il risultato sarebbe stato un disastro morale e strategico. I kosovari sarebbero diventati un popolo senza patria (…). Il conflitto balcanico sarebbe continuato indefinitamente, minacciando di estendersi in una guerra più vasta ed in continue tensioni con la Russia. La stessa Nato sarebbe stata screditata per aver mancato di difendere gli stessi valori che danno senso all'Alleanza.(…)
La strategia di Milosevic è di superarci sulla distanza dividendo l'Alleanza. Ma ha fallito.(…) Nel frattempo la nostra campagna aerea ha distrutto e danneggiato un terzo delle forze corazzate serbe in Kosovo, metà della loro artiglieria, gran parte della loro capacità produttiva di munizione, l'intera capacità di raffinazione del carburante ed ha prodotto enormi danni ad altri settori dell'economia. (…) L'UCK ha iniziato a passare all'offensiva contro le forze serbe, impegnate a nascondersi dagli attacchi aerei. (…)
Anche se non escludo altre opzioni militari, noi perseguiamo la strategia attuale per tre motivi.
Primo, e più importante, perché sta funzionando e riuscirà a far rispettare le condizioni poste dalla Nato: riportare a casa i kosovari con i serbi fuori dal territorio e lo spiegamento di una forza internazionale di sicurezza. Questa forza deve avere la Nato come nucleo, il che significa che deve avere un comando Nato(…). In secondo luogo la nostra strategia gode di un appoggio ampio e profondo nell'Alleanza e ci permette di raggiungere i nostri obiettivi. In terzo luogo, questa strategia ci dà la migliore occasione di raggiungere i nostri obiettivi in un modo che rafforza, non indebolisce, il nostro fondamentale interesse in una relazione positiva con la Russia.
L'Unione Europea e gli Stati Uniti devono fare per l'Europa sud-orientale quel che noi facemmo per l'Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale e per l'Europa centrale dopo la guerra fredda. (…) Le democrazie della regione stanno già reagendo alla spinta integrativa, portando avanti le riforme, accettando i profughi e appoggiando la campagna della Nato. Una Serbia democratica, che rispetti i diritti dei propri cittadini e dei propri vicini, può e deve unirsi a loro. Se lo fa, la aiuteremo a ristabilirsi e ad occupare il suo giusto posto come Stato europeo dei Balcani e non come Stato balcanizzato alla periferia dell'Europa."

(da "La Stampa", 24.05.1999)

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