Democrazia contro totalitarismo



L'intervento della Nato è presentato inizialmente come un'operazione di polizia internazionale.
Il commentatore politico André Glucksmann intende uscire dall'equivoco che la missione Nato sia soltanto questo; perché bisogna avere il coraggio di dire che si tratta di una guerra, come correttamente sostengono i pacifisti, che esagerano comunque parlando di un "nuovo Vietnam". Questa guerra è la lotta tra due politiche: la democrazia contro il totalitarismo. Milosevic, che conduce una barbara guerra contro i civili, non ha diritto di governare e a lui le democrazie occidentali tentano di opporre una strategia antimassacro. Il giudice ultimo delle ragioni di questo conflitto sarà il profugo kosovaro: potrà tornare nella sua casa o sarà buttato fuori dal suo paese?

L'articolo, di cui si citano due brani, è intitolato Perché siamo in guerra ed è stato pubblicato su "Il Corriere della sera", 20 maggio 1999.

Non è il caso di giocare con le parole. Nel cuore dell'Europa è in corso proprio una guerra. Tuttavia, per un diffuso e pudico senso di irrealtà, nessuno ammette di farla. La Nato compie "operazioni" delle quali il carattere aereo sembra garantire l'essenza celeste. Milosevic, ufficialmente, reprime dei "banditi2 e accampa il diritto sovrano che hanno gli Stati di civilizzare le loro regioni come meglio credono. Soltanto i pacifisti osano pronunciare la parola "guerra", ma barano subito sul tema, evocano "tappeti di bombe", vedono Belgrado devastata come Dresda, giurano che la Serbia è "un nuovo Vietnam". Con questi eufenismi e questi anatemi, la realtà guerresca degli avvenimenti ci lascia a bocca aperta, anche se buca lo schermo. Partito alla conquista del Kosovo contro 90% dei kosovari, il dittatore di Belgrado ostenta intenzioni innocenti; "un conquistatore è sempre amico della pace", vorrebbe avanzare senza trovare opposizione, nota ironicamente Clausewitz. Gli alleati atlantici si rendono schiavi di una negazione simmetrica, sottovalutando l'operazione militare, in cui si sono impegnati. Non hanno forse pubblicamente dichiarato che in tre giorni la "cosa" si sarebbe conclusa? Se i pricìpi senza armi sono vuoti, l'uso delle armi senza concetto è vano. (..)

Non esiste civiltà che non abbia inventato una specifica arte della guerra. Tutte le società non sono state affatto bellicose o belliciste. Ciascuna ha dovuto, tuttavia, tramite una regolamentazione dell'uso limitato della forza, opporsi alla nostra troppo umana, esterna, interna e interna e intima, capacità di distruggere. All'oppressione militare del civile, ultima barbarie del secolo che sta per finire, le democrazie cercano di opporre una strategia anti-massacro, una sorta di sbarramento alla diffusione universale e, nel caso specifico, europea del crimine. Non sto parlando qui di un qualche videogioco, le cui regole richiedono di portare al massimo i danni materiali, riducendo al minimo le perdite umane, nel qual caso il modo più morale di gocare sarebbe di astenersi. Constato che a una guerra contro i civili, che dura, penosa e crudele, da dieci anni, si oppone alla fine una guerra senza esercito, certamente gravata da troppi evidenti tentennamenti, ritardi e debolezze. Ignoro, noi ignoriamo, l'esito di questo lavoro nell'incertezza che riguarda ogni impegno militare. Ma so chi giudica: in ultima analisi, è il superstite kosovaro.