Il consenso dell'Europa



Uno dei temi di discussione è il rapporto tra l'Europa e gli Usa. Alcuni osservatori sottolineano come gli Usa predominino nelle decisioni e nella conduzione della guerra e come l'Europa non riesca a svolgere un ruolo autonomo. Le posizioni tra i paesi europei sono diversificate all'interno dell'Alleanza: da un lato Blair fiero sostenitore dell'intervento Nato, dall'altro D'Alema, pressato all'interno della sua stessa maggioranza, a perseguire coerentemente la via diplomatica.
Francois Holland segretario dei socialisti francesi, a due mesi dalla guerra ha rilasciato un'intervista, in cui sottolinea che la stragrande maggioranza dei francesi condivide le ragioni della guerra e che il Kosovo non poteva più essere una seconda Bosnia, con l'assenza dell'Europa. In questo modo è convinto che si riesca a dimostrare la non dipendenza dei paesi europei dagli Stati Uniti. Sostiene come unica strategia possibile la guerra aerea e rifiuta l'intervento di terra. Ogni paese nella Nato si muove con fedeltà verso l'Alleanza atlantica, ma anche secondo le proprie esigenze interne, e la Francia si impegna a premere fortemente su Milosevic, ma nello stesso tempo a rilanciare il ruolo dell'Onu. Affronta, quindi, il tema del pacifismo, definendo l'intervento in Jugoslavia una guerra necessaria per difendere il modello della civiltà occidentale. Richiama, comunque, l'esigenza dell'iniziativa diplomatica per tutta la regione dei Balcani e sottolinea l'importanza del ruolo della Russia.

L'intervista, a firma di Stefano Cingolani, è apparsa con il titolo Le sinistre europee hanno scelto l'intervento per difendere il modello di civiltà occidentale in "Il Corriere della sera", 20 maggio 1999.

"Il fatto di essere al governo nella maggior parte dei Paesi europei ci ha aiutato a non cadere in tentazioni che, del resto, non avrebbero fatto onore alla sinistra. Abbiamo vissuto con molta tristezza e con rimorso l'impotenza, la mancanza di volontà dell'Europa in Bosnia e in Croazia. Se interveniamo oggi non è per i nostri interessi nazionali, né per la conquista del mercato o delle materie prime, ma perché pensiamo che sia in causa un modello di civiltà. La sinistra è coerente con i suoi valori.Ma deve fare di tutto perchè si trovi una soluzione politica al più presto possibile".

Si sta costruendo una dottrina democratica della guerra?

"La guerra non è mai la soluzione da privilegiare, ma ci sono conflitti necessari in nome della morale comune. In Serbia siamo di fronte a una purificazione etnica, a violenze pianificate e organizzate che giustificano un intervento. Tuttavia siamo sempre convinti che tocchi al Consiglio di sicurezza dell'Onu adottare una risoluzione che permetta l'arrivo di una forza d'interposizione in Kosovo".

L'iniziativa diplomatica sembra timida. Come rilanciarla?

"C'è l'idea della conferenza sui Balcani proposta dalla Germania e che Romano Prodi è stato uno dei primi ad evocare; poi c'è la Grande Europa da organizzare. François Mitterrand aveva proposto una "confederazione europea". Bisogna dire a quei paesi che non hanno ancora la capacità di entrare nell'Unione: avete il vostro posto in Europa. Dobbiamo lavorare insieme affinchè ci sia un luogo in seno al quale tutti gli europei evochino i loro problemi, prevenendo i conflitti e limitando l'influenza dei nazionalismi".

Il rischio oggi è di legittimare gli "Stati etnici": il Kosovo ai kosovari, la Serbia ai serbi.

"Se si vuole evitare che i comportamenti nazionalistici prevalgano, bisogna privileggiare la democrazia e i diritti umani, bisogna dare un avvenire politico e una stabilità a questi Paesi. L'allargamento dell'Unione europea è una prospettiva troppo lontana, mentre essi hanno bisogno di risposte subito".