L’Europa e il Mediterraneo


Antonio Calabrò, vicedirettore de "Il Sole 24ore", si occupa della definizione della nuova guerra in relazione al nuovo ordine internazionale, soffermandosi in particolare sul ruolo dell’Europa nella Nato, nei rapporti con gli Usa, con i Balcani e con il Mediterraneo. Propone alcune considerazioni sui problemi della ricostruzione e sul futuro dei paesi dell’ex-Jugoslavia.

Il brano è tratto da Le responsabilità dell’Europa, in AA.VV. La pace e la guerra, ed. Il Sole 24ore, 1999, pp. 20-22.

Si torna dunque alla vecchia questione della responsabilità dell’Europa e della risposta per quel che riguarda la ricostruzione e la crescita equilibrata dell’area balcanica: il senso e la strategia della guerra (ne parla Carlo Jean nel suo saggio) e le possibilità della pace (analizzate da Domenico Siniscalco nel suo saggio sugli impegni e sulle prospettive di un nuovo Piano Marshall per i Balcani ). Per fare un passo avanti, vale la pena di ragionare ancora secondo lo schema di Ralf Dahrendorf sui "difficili confini della liberale Europa ": <<La guerra in Yugoslavia la dice lunga sull’Europa. C’è da sospettare che senza la Nato – o piuttosto senza il presidente Clinton e gli Stati Uniti – l’Europa non si sarebbe spinta al di là di una certa soglia. Ora che è andata oltre, è accaduto qualcosa di cruciale in relazione alla sua stessa definizione del continente europeo. La discussione su dove incominci e dove finisca l’Europa è stata spesso di natura quasi metafisica. Chi sono i veri europei? Gli slavi sono europei? E i mussulmani?>>. Domande del genere sono, secondo Dahrendorf, praticamente prive di senso: << Potremmo senz’altro convivere con una definizione geograficamente vaga dell’Europa, ma la sua definizione politica deve essere rigorosa. L’Europa comprende i paesi europei che hanno aderito ai principi dell’ordine liberale, dello Stato di diritto, della democrazia e della convivenza civile. A questo riguardo, il Consiglio europeo ha disegnato i suoi confini con eccessiva generosità , mentre quelli tracciati dall’Unione europea sono troppo restrittivi. Tra gli altri suoi effetti, la guerra avrà quello di definire i paesi balcani , Serbia compresa, come appartenenti all’Europa sebbene abbiano ancora un lungo cammino da percorrere prima di poter essere considerati nel novero degli Stati che aderiscono ai principi di un ordine liberale. L’impegno dell’Europa comporta, quanto meno, la promessa di accogliere in futuro nell’Unione l’intera regione compresa tra l’Austria e la Grecia>>. C’è una questione di ordine economico, sulla quantità e la qualità delle risorse da investire nell’area balcanica , contando poi su un territorio generale degli investimenti in termini di stabilità, di rivalutazione degli apparati produttivi e di crescita delle economie e dei mercati locali. Ma c’è una questione più direttamente e squisitamente politica, che si può riassumere nella domanda: a quali classi dirigenti si farà riferimento, nei Balcani, per affidare loro le risorse per il processo di ricostruzione?  
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