Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia "F. Parri" - Commissione didattica
  Direzione regionale dell’Istruzione in Lombardia
Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale – Università di Milano-Bicocca

Giornata di studio
21 gennaio 2002

La responsabilità della memoria


Alcune note sui primi risultati della ricerca
 "Memoria e insegnamento della storia"

Carmen Leccardi
Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale
Università di Milano-Bicocca


  La ricerca "Memoria e insegnamento della storia", come è stato in più occasioni sottolineato, non ha intenti puramente conoscitivi, ma si caratterizza sia come ricerca-formazione sia come ricerca-azione. Le note che seguono mentre si concentrano sul primo aspetto, quello conoscitivo, facendo riferimento soprattutto alla parte qualitativa dell'indagine (cinquanta interviste in profondità raccolte fra tutor di storia dei due sessi all'interno della scuola dell'obbligo e della media superiore, di età compresa fra i 30 e i 60 anni), tengono in considerazione anche il secondo e il terzo. Un breve accenno verrà fatto anche ad alcune, prime elaborazioni ricavate dai dati raccolti attraverso l'indagine campionaria (oltre quattrocentosettanta questionari somministrati ad altrettanti insegnanti di storia, due terzi dei quali attivi nella media superiore, in altrettante aree d'Italia). La traccia di intervista riguardava quattro aree:

  • il percorso biografico e il ruolo professionale
  • l'eventuale grado di impegno politico-sociale
  • le valutazioni circa le relazioni fra memoria e storia
  • un giudizio sulla consapevolezza storica degli/delle studenti

In questa sede concentrerò l'attenzione sugli ultimi due aspetti, i più rilevanti per comprendere i modi in cui gli insegnanti di storia costruiscono la loro identità e le relazioni formative all'interno della scuola.

    Il grado di consapevolezza fra storia e memoria, emerge dalle interviste, appare in linea generale problematico, e il livello di elaborazione soggettiva contenuto (ad eccezione del piccolo drappello di coloro che hanno attraversato da protagonisti/e esperienze di militanza nei movimenti collettivi negli anni Sessanta/Settanta). La prima impressione che si ricava, da un lato, è che per gran parte degli/delle insegnanti intervistati/e non vi sia stata vera e propria collisione fra tempo storico e tempo biografico. Solo una minoranza ha vissuto da protagonista eventi ritenuti di portata storica, tali da potere essere considerati veri e propri spartiacque nella costruzione biografica, capaci di costruire coscienza generazionale à la Mannheim. Costoro si può dire posseggano una memoria collettiva, avendo elaborato in gruppo questa esperienza e avendola trasformata in una componente identitaria. Non si può affermare, tuttavia, che questo processo sia di per sé garanzia di una relazione non conflittuale fra memoria e storia. Vi può essere infatti buona consapevolezza del nesso fra queste due dimensioni, ma gli esiti dell'esperienza storica vissuta, quando siano messi a tema in termini negativi (pensiamo, ad esempio, alla delusione maturata in alcuni/e per i risultati politici della stagione dei movimenti) possono rendere muta la capacità di trasmissione storica.

    Si può d'altro lato affermare che gli echi della "grande trasformazione" italiana del secondo dopoguerra risultano, sul piano biografico, decisamente attutiti. Detto altrimenti, le continuità che possono legare fra loro eventi che appartengono al passato più o meno recente e aspetti biografici non di rado faticano ad essere riconosciute e messe a tema. In altre parole, i processi sociali di mutamento che hanno caratterizzato con forte intensità l'Italia repubblicana possono essere vissuti come dimensione che appartiene sì alla "Storia" ma, al tempo stesso, influenza scarsamente sia la storia sia la memoria individuale.

    Si tratta, a mio giudizio, non solo del problema pur importante delle cesure nella trasmissione della memoria. (emblematico, sotto questo profilo, il caso degli "anni di piombo"). Prima ancora, abbiamo a che fare con un deficit di quella dimensione strategica che Wright Mills ha sinteticamente definito "immaginazione sociologica", in base alla quale "non si può comprendere la vita dei singoli se non si comprende quella della società, e viceversa" (1). Come conseguenza, nelle interviste risulta sovente problematica la capacità - al di là dei riferimenti più rituali - di istituire nessi fra i piani micro e macro-sociali, oltre che fra il livello delle istituzioni economiche e politiche e quello delle vicende biografiche. Personalmente lego questo tratto a uno degli aspetti più negativi della formazione scolastica italiana: la tradizionale marginalità assegnata, al suo interno, alle scienze sociali. Mi sembra che esso vada considerato come uno degli elementi all'origine di molte delle difficoltà a tematizzare la relazione memoria-storia da parte degli/delle insegnanti.

    Ciò implica, tra le conseguenze, la difficoltà a concepire la memoria altro che in termini squisitamente individuali, potremmo dire come costituzione temporalizzata della coscienza. In realtà, da Halbwachs in avanti, le scienze sociali sono consapevoli che la capacità di trattenere, preservare e trasmettere, o piuttosto cancellare e azzerare, processi, eventi, immagini, narrazioni è frutto anche di complessi processi di interazione e di comunicazione. Esistono dunque memorie collettive (tra le quali quelle familiari sono certamente centrali) e memorie sociali. Gli "specialisti" possono disporre di conoscenze ad hoc che consentono loro di analizzare ad esempio la relazione fra identità di gruppo e elaborazione collettiva di memoria, vale a dire rilettura di una parte del passato alla luce degli interessi del presente dei membri di quel determinato gruppo. Ma, al di là degli "specialisti" e della loro expertise, la disponibilità di una quota almeno di "immaginazione sociologica" significa, ad esempio, capacità di riconoscere che ciascun periodo storico possiede una "memoria comune", portato della vita sociale, dei suoi riti e i suoi miti specifici, con cui la memoria individuale giocoforza si confronta (2). La comprensione dei caratteri di questa memoria può risultare ad esempio centrale per agevolare la trasmissione di contenuti storici. In termini più generali, questa competenza sul piano dell'"immaginazione sociologica" consente inoltre un esercizio di riflessività di grande rilievo strategico nella progettazione didattica.

    Il secondo aspetto sul quale vorrei ancora riflettere brevemente in questa sede ha a che fare con le relazioni intergenerazionali. Sulla base dell'indagine campionaria (curata da Sonia Stefanizzi) risulta che l'immagine che gli insegnanti di storia coltivano degli studenti è tutt'altro che positiva: secondo l'80% del campione i giovani sarebbero disinteressati a ricevere una buona istruzione; oltre la metà non condividerebbe i valori trasmessi; poco meno della metà sarebbe poco impegnato nello studio oltre che caratterizzato da bassi livelli di apprendimento. Tutti questi tratti negativi, secondo gli/le insegnanti intervistati/e sarebbero inoltre in netto peggioramento negli ultimi dieci anni. Solo la difficoltà di comunicazione fra docenti e allievi è considerata più o meno identitica nel tempo (30% del campione la segnala).

    Se si tiene poi conto che la frammentazione della memoria storica è attribuita dagli insegnanti praticamente alla totalità dei giovani (95%); che, a loro giudizio, il 90% degli studenti vivrebbe una separazione fra memoria biografica e memoria storica; infine, che quasi l'80% sarebbe rinchiuso in un orizzonte temporale centrato sul presente, non si fatica a delineare una rappresentazione ad un unico colore, omogeneamente negativo, del mondo studentesco. Questo significa che gli insegnanti intervistati si considerano in un certo senso immuni dalle conseguenze di quel processo di "compressione spazio-temporale" segnalato da David Harvey ormai un un decennio fa. Secondo questo autore, stiamo collettivamente vivendo una fase di profonda trasformazione dell'esperienza dello spazio e del tempo. Sulla base di processi economico-politici legati allo sviluppo capitalistico proprio di questa fase storica, e alle nuove interdipendenze che ne sono alla base, il ritmo di vita si accelera, le barriere spaziali si spezzano, gli orizzonti temporali si contraggono "fino al punto in cui il presente è tutto ciò che c'è" (3) . Ora, il presente globale costruito sul tempo standardizzato e de-contestualizzato della comunicazione elettronica costruisce una "simultaneità globale" che certamente mette in discussione il tradizionale concetto di storicità - così come la fase della modernità che stiamo vivendo ha posto in discussione quella dimensione cardine del tempo storico che, allo zenit della modernità, era rappresentata dall'idea di progresso. In questa cornice, l'idea di progetto tradizionalmente inteso - a cui del resto la memoria è legata a doppio filo - non può che risultare scarsamente sensata. Ma non possiamo realisticamente pensare che questi processi, così violenti nei loro effetti tra le giovani generazioni, risparmino del tutto le generazioni adulte. Anche in questo caso, si tratta di procedere verso un esercizio di consapevolezza capace di operare a un duplice livello:

  1. mettendo a fuoco i meccanismi attraverso i quali il "presente globale" entra nelle mappe cognitive e nelle interazioni quotidiane di ciascuno/a, in modi e forme diverse a seconda delle differenze di età, di genere, di classe e di cultura. Coinvolgendo dunque non solo gli/le studenti, ma anche gli/le insegnanti;
  2. costruendo nuove reti concettuali e nuovi codici per comprendere questi processi culturali di ridefinizione dell'esperienza dello spazio e del tempo, di portata epocale.

Un esempio in riferimento a quest'ultimo aspetto. Lo "spazio globale" che al presente globale fa da corollario può anche diventare, come è stato recentemente scritto (4), veicolo di relazione con la sfera pubblica e di un nuovo cosmopolitismo. Pensiamo alle nuove forme di comunicazione elettronica e alle potenzialità contenute nello spazio virtuale sotto il profilo della possibilità di costruire, anche fra persone spazialmente assai distanti, forme di relazione che consentono di mobilitare risorse civiche, promuovere forme di protesta, condividere prospettive di mutamento. Senza sopravalutare questi meccanismi e queste aperture ad una nuova, possibile soggettività politica (e "storica") fra i giovani (pensiamo all'uso della rete nella crescita del movimento no-global), è tuttavia opportuno fare in modo che chi ha per compito istituzionale l'insegnamento della storia contemporanea non dimentichi di mettere a fuoco, nel presente globale e "senza storia", anche queste potenzialità. Detto altrimenti: concentrare l'attenzione su A impedisce di mettere a fuoco B. Guardare agli/alle studenti come a un mondo omogeneo, sottratto alla storia e alla partecipazione civica, può impedire di vedere i codici culturali che stanno prendendo forma. E che, semmai, andrebbero sostenuti e difesi.

Note

1. C. Wright Mills, L'immaginazione sociologica, Milano, il Saggiatore, 1968, p. 13. torna su

2. Per una recente riflessione sulle diverse dimensioni della memoria vedi P. Jedlowski, "Rassegna Italiana di Sociologia, n. 3, 2001. torna su

3. D. Harvey, La crisi della modernità, Milano, il Saggiatore, 1997, p. 295 (ed. or. 1990). torna su

4. D. Archibugi, D. Held e M. Koehler, Re-imagining Political Community. Studies in Cosmopolitan Democracy, Cambridge, Polity Press, 1998. torna su