Non voglio addentrarmi in
questioni troppo complesse e controverse; osservo solo che, anche se ammettessimo che i
vecchi processi di manipolazione sono stati oggi soppiantati dai nuovi meccanismi di
cancellazione del passato, non cambierebbe la sostanza delle cose: leffetto sui
comportamenti sociali resterebbe comunque quello di indebolire ulteriormente le già
ridotte capacità e facoltà di scelta di cittadini-sudditi sempre più esposti e indifesi
di fronte a condizionamenti e a sollecitazioni presumibilmente non disinteressati.
Condivido cioè lopinione di quegli
autorevoli osservatori che giudicano laffievolirsi di un corretto senso del passato
come una tendenza fortemente negativa: una grave perdita sul piano cognitivo che rischia
di impedire "lespansione della capacità di autodeterminazione e, in fondo,
della personalità umana" (Traniello 1998, p.111 ).
E possibile invertire questa
tendenza, restituire un senso al passato?
In particolare per la scuola, è possibile
ridestare nei giovani linteresse per una disciplina dai più giudicata come sterile,
improduttiva, priva di relazioni dirette con la propria vita di tutti i giorni?
La mia personale esperienza didattica mi ha
dimostrato che gli studenti scoprono linteresse per la materia scolastica
"storia" quando capiscono che la memoria è cosa viva e plasmabile, una
rappresentazione, capace di interagire con le scelte fondamentali della vita, alla quale
ciascuno può contribuire con un proprio personale apporto creativo; quando capiscono
cioè che la memoria è costruzione sociale.
"La memoria come costruzione
sociale", una formula che, non a caso, riecheggia il titolo di un trattato di
sociologia della conoscenza degli anni sessanta (Berger e Luckmann, La realtà come
costruzione sociale): la sua piena e consapevole accettazione comporterebbe
sicuramente conseguenze di grande rilevanza sul piano storico-culturale, con forti
ricadute anche in ambito scolastico.
Mi rendo però conto che non è facile
procedere in questa direzione: ho anzi limpressione che, su questi temi, qualsiasi
ragionamento teorico (necessariamente di natura filosofico-sociologica) incontrerebbe
forti resistenze e comunque difficilmente potrebbe stimolare a breve termine un
ripensamento delle finalità educative e un rinnovamento della didattica storica.
Molto meglio proporre agli insegnanti,
anziché astratte teorizzazioni, qualche esemplificazione che consenta di cogliere
direttamente allopera i processi di elaborazione della memoria di determinati eventi
e situazioni storiche.
A tal fine, può essere di aiuto la storia
locale, la più adatta ad offrire spunti ed occasioni di verifica nella direzione
indicata.
Con questo, non intendo sostenere che
linsegnamento della storia locale sia utile soltanto per dimostrare che la
"memoria è una costruzione sociale"; esistono ovviamente molti altri validi
obiettivi che possono essere proficuamente perseguiti (esercitare la critica delle fonti,
padroneggiare la temporalità, costruire mappe concettuali
), come ha dimostrato
anche la pluriennale esperienza dei nostri laboratori.
E tuttavia sottolineo che, finchè non si
arriverà a considerare la memoria come il risultato instabile e provvisorio di una
costruzione collettiva, linsegnamento della storia locale non potrà che collocarsi
in un quadro che riproduce e conferma quel "modello dogmatico-trasmissivo" che
rappresenta forse lostacolo maggiore sulla strada di un reale rinnovamento. Nella
logica di tale modello, infatti, solo qualcuno (lesperto? il tecnico? o chi detiene
il potere?) ha la facoltà di analizzare e di riproporre "oggettivamente" il
passato, mentre tutti gli altri (insegnanti, studenti
) hanno solo il compito di
apprenderlo, senza essere posti in condizione di entrare nel merito delle scelte
effettuate a monte. Tutto questo consente di utilizzare il passato come unarma il
cui impiego viene deciso da pochi "generali" che, oltre a conoscere la
strategia, possono contare anche su un esercito di fanti (insegnanti, giornalisti,
volenterosi storici più o meno locali
) pronti a eseguire le direttive impartite.
Per impedire gli effetti spesso devastanti
di tali processi, non sono sufficienti i richiami e le denuncie dei migliori tra gli
storici, di coloro che, forti della loro professionalità e della consapevolezza che
qualsiasi rappresentazione del passato, storiografia compresa, è tuttaltro che
definitiva e universale, assumono il delicato compito di "garanti della
memoria": la loro voce rischia di perdersi nella babele assordante della
comunicazione globale.
Non resta quindi che tentare di diffondere,
attraverso la scuola, la conoscenza dei meccanismi sociali di costruzione della memoria;
utilizzando magari - lo suggerivo prima - percorsi di storia locale come, ad esempio,
quelli sperimentati dallIstresco in vecchi corsi di aggiornamento; sui quali è
forse utile, a questo punto, fornire qualche ragguaglio.
Nel 1996 e nel 1997 abbiamo elaborato e
proposto in Istituto due percorsi didattici incentrati su altrettanti luoghi trevigiani
della memoria: Piazza dei Signori (TV) e Cima Grappa.
Nelle schede distribuite ai corsisti di
"Piazza dei Signori" scrivevo che la piazza poteva essere letta come una
straordinaria sequenza narrativa pubblica, pazientemente montata tra 800 e
900 dalle classi dirigenti locali allo scopo perseguito in maniera
consapevole di fornire una rappresentazione non casualmente individuata del passato
cittadino, con intenti soprattutto educativi e cioè con lobiettivo di piegare il
passato alle esigenze del presente.
Simile il discorso per Cima Grappa:
ripercorrendo le tappe dei vari interventi monumentali realizzati sulla vetta del
"sacro monte", si possono cogliere e analizzare le tante battaglie, i
compromessi, le tecniche sottili con cui vari contendenti soprattutto i cattolici
della Madonnina e i fascisti del grande ossario ai caduti si sono disputati il
controllo di questo luogo simbolico, ritenuto strategicamente centrale per la costruzione
novecentesca dellidentità collettiva dei veneti.
Questanno il nostro Istituto
sperimenterà una nuova proposta "Il Sile a Fiera", a cura di Amerigo
Manesso, con la collaborazione di Alessandro Casellato e Franco Rizzi che, tra gli
altri obiettivi, si propone anche di offrire un ulteriore contributo nella direzione
indicata.
Certo, non tutti i libri e le ricerche di
storia locale si prestano a questo tipo di trasposizione didattica; ma sicuramente molti
contengono almeno gli elementi grezzi che possono consentire a insegnanti consapevoli e
creativi di adattarli alle proprie esigenze. In ogni caso, ritengo che sarebbe sufficiente
svolgere anche un solo intervento ben strutturato del tipo qui suggerito per modificare
negli studenti il modo di guardare al passato: premessa indispensabile perché la materia
scolastica "storia" possa offrire qualche risposta ad unesigenza
elementare ma fondamentale degli uomini: la curiosità sul mondo, su se stessi e sugli
altri.
"La storia maestra di vita"?
"Guardare al passato per costruire il futuro"? Sono frasi fatte spesso ripetute
anche durante i nostri incontri. Ma è difficile sottrarsi allimpressione che esse
funzionino in realtà come una specie di giaculatoria pronunciata per esorcizzare la
serpeggiante e spiacevole sensazione che la storia sia oggi una materia abbastanza
inutile, quando non controproducente. E tuttavia non è detto che queste formule,
apparentemente usurate, non possano ritrovare vitalità e nuovi significati: se
linsegnamento della storia saprà confrontarsi con i meccanismi di costruzione della
memoria, allora ciascuno potrà finalmente comprendere ed apprezzare limportanza di
contribuire alla elaborazione delle rappresentazioni del passato e cioè di quella
"intelaiatura entro cui qualunque cosa non ancora conosciuta sarà nota in
futuro" (Berger e Luckmann 1969, p.103).


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