Nei primi due seminari della
ricerca, condotta con un gruppo di progettazione di venti docenti ed ora estesa nel III
Seminario (Roma, 29,30/11,1/12 2000) a cento tutor di storia, provenienti da tutta Italia,
abbiamo cercato di definire lintreccio tra memoria e storia, ed è emerso che
il nucleo centrale di tale rapporto sta nella configurazione del tempo. La memoria
e la storia hanno, infatti, come denominatore comune il tempo, seppure articolato in
dimensioni diverse. Il tempo è misura dellio per ordinare la sequenza delle azioni
e degli accadimenti e, quindi, per formare connessioni interpretative e dare senso alla
vita umana e alla storia.
La memoria usa la quantificazione
soggettiva del tempo, in certo senso stabilisce una cronologia "privata" degli
avvenimenti che riguardano lindividuo per definire la sua identità, mentre la
storia usa periodizzazioni codificate a posteriori e ufficialmente accettate, al fine di
interpretare fatti e processi, che sono accadute nel passato. Entrambe queste dimensioni
del tempo connettono il passato con il presente e fanno proiezioni nel futuro.
Lintenzionalità del ricordo, come quella della ricostruzione storica, pur
volgendosi al passato, è, comunque, in funzione delle domande che emergono dal contesto
attuale.
Ciò significa che i soggetti, che vengono
deprivati del passaggio di memoria tra le generazioni e quindi dellutilizzo del
ricordo come messa in relazione del passato con il presente, non hanno strumenti adeguati
per intervenire nel presente e pensare il futuro.
Vittorio Foa, nellintroduzione
a Questo Novecento, scrive che la memoria è una ricerca del senso di
un fatto accaduto, in base alle sollecitazioni del presente, cioè la ricerca del posto
che quel fatto ha allinterno del processo storico. In questo modo, colui che ricorda
trasmette ad altri limportanza della propria scelta. I ricordi riescono, infatti, a
dare situazioni, sentimenti, ruoli della soggettività, con modalità diverse rispetto
alla ricostruzione storica, che riproduce le connotazioni politiche, sociali e
istituzionali. Il racconto da protagonista o, comunque, testimone partecipe di certi
fatti, che sono anche emozioni, riflessioni, giudizi, assunzioni di responsabilità) danno
senso allesperienza singola, e quindi alla storia.
Foa aggiunge un altro elemento che ci
interessa per mettere a fuoco il rapporto tra le generazioni: i giovani interrogano la
memoria altrui, per elaborarla secondo le proprie esigenze di conoscenza del passato (1).
E così le domande del presente agiscono su
un doppio livello: quello del protagonista che ricorda e che stabilisce un rapporto tra il
vissuto personale e la storia e quello dellinterrogante che coglie, dalle
generazioni precedenti, ciò che del passato può essere inerente alla costruzione della
propria esperienza di vita.
Il sociologo Paolo Jedlovsky (2) definisce la memoria come esperienza, cioè il "saper
fare" come sedimentazione di abitudini e di competenze. E linsieme del
vissuto, ricco di risonanze simboliche, che dà senso allesistenza, intrecciando
passato e presente. Tale "saper fare", che in passato era la trasmissione di
esperienza da una generazione allaltra, è in estinzione nel mondo contemporaneo,
perché la forte accelerazione di ritmi e la moltiplicazione di stimoli nella vita
quotidiana non consentono, per leccessiva contrazione del tempo mentalmente
necessario, di registrare il vissuto e quindi di avere consapevolezza della propria
esperienza.
Inoltre, si è sottoposti a una crescente
intellettualizzazione della vita psichica, che porta ad avere reazioni intellettuali
(calcolate) e non emotive, mentre si vive contemporaneamente in una pluralità di mondi,
che obbliga lindividuo ad avere diverse biografie e a non avere più esperienza di
un solo vissuto, facilmente identificabile.
Esistendo, dunque, una divaricazione tra la
memoria collettiva e la memoria individuale, non può avvenire la narrazione tra le
generazioni. Eppure è proprio attraverso la memoria collettiva, quale serbatoio di senso
del passato, che si capisce il senso del presente dei singoli soggetti , cioè del loro
essere situati nel tempo secondo un flusso di continuità, che comprende anche i
cambiamenti.
Uno studioso della pratica autobiografica
come Duccio Demetrio (3) afferma che il lavoro
autobiografico, cioè la ricostruzione e la rappresentazione della propria esistenza,
significa assumere la responsabilità di ciò che è accaduto, accettarlo e raccontarlo ad
altri. Raccontarsi è una tappa molto importante della maturità individuale, perché è
la consapevolezza di esserci e di essere nella storia, utilizzando il tempo passato (e
perduto se non ricordato), come unenorme biblioteca. E lesperienza di vita
diventa memoria.
Marguerite Yourcenar (4), in Memorie di Adriano, definisce la memoria come la
storia commentata dallesperienza delluomo (p. 205) e fa dire al suo
protagonista. "Ho ricostruito molto: e ricostruire significa collaborare con il tempo
nel suo aspetto di "passato", coglierne lo spirito e modificarlo, protenderlo
quasi verso un più lungo avvenire, significa scoprire sotto le pietre il segreto della
sorgente."
La memoria, come dice Alessandro Portelli (5), è, dunque ,"un laboratorio, un posto dove i
dati dellesperienza vengono continuamente elaborati alla ricerca del senso".
Giuseppe Mantovani (6) parla della memoria come di una mappa per orientarsi
non solo nel passato, ma anche nel futuro, per collocarsi allinterno della
comunità. Nelle società tradizionali erano i vecchi, attraverso la narrazione, a dare la
mappa ai giovani: raccontare la loro esperienza significava costruire il senso della
storia nei giovani, che imparavano ad ascoltare le voci della storia. La trasmissione del
vecchio forniva la cornice simbolica, in cui doveva inserirsi lazione del figlio
perché fosse comunicabile e comprensibile dagli altri.
Lassenza di trasmissione di memoria
nella società attuale provoca nei giovani disorientamento, ostilità e anche rabbia,
perché manca loro la mappa per comprendere il presente, decodificarlo, dominarlo e anche
modificarlo. E questo è il segno di una società in crisi, che, per mancanza di memoria,
produce violenza. Per opporsi a tale disgregazione Mantovani consiglia di "nutrire
gli antenati", cioè di diventare consapevoli che, nascendo, noi entriamo in una
conversazione che si sta svolgendo e in cui noi possiamo intervenire, mantenendo il filo
della memoria e nello stesso tempo lasciando che il futuro entri nella nostra esperienza
di vita.
Marcello Flores (7), nel commentare il lavoro della Commissione sudafricana, voluta da
Nelson Mandela e presieduta da Desmond Tutu, per determinare la verità riguardo ai
crimini commessi durante il regime dellapartheid, stabilisce la relazione tra
memoria e storia, considerando la memoria come la ricerca di una risposta dal passato ai
bisogni culturali del presente.
E si sofferma sulla definizione di memoria
come narrazione.
"Tanto nel giudizio processuale che
nellinterpretazione storica la narrazione degli eventi e il racconto dei fatti
affidato alla memoria dei protagonisti e dei testimoni è di cruciale importanza. Sia i
processi che i libri di storia, daltra parte, contribuiscono a influenzare la
memoria collettiva e il comune senso storico di un popolo, soprattutto se la narrazione
che sono capaci di presentare si dimostra avvincente, accattivante, commovente."
La raccolta di tutte le testimonianze
possibili di vittime e di carnefici ha prodotto la consapevolezza dellintera
società dei diversi aspetti del dramma vissuto dal Paese, senza attendere i tempi lunghi
e incerti di processi istituzionali. E, in tal modo, si è anche intessuta una memoria
pubblica di quel passato tragico, necessaria, comunque, a determinare una prospettiva
comune di convivenza futura per tutti i cittadini del Sudafrica.
"La memoria collettiva si costruisce sulla base delle
narrazioni più diverse: essa fa sue, in modi a volte riconoscibili e altre
imperscrutabili, le suggestioni dei racconti individuali e le lezioni della grande storia,
i suggerimenti del giornalismo e le conclusioni delle aule di giustizia, levidenza
dei documenti darchivio e le impressioni di quelli audiovisivi. Ma essa risponde
soprattutto ai bisogni dellepoca e al clima psicologico e culturale, che
caratterizza la società." (8)
Anche Remo Bodei (9),
a proposito della crisi dellidea di patria nella storia italiana, sottolinea
lesigenza del racconto fondativo dellesperienza collettiva per
ricostruire nuove storie e nuove memorie, condivise anche se dolorose, rintracciate nelle
vicende storiche concrete e non affermate per principio. Con tale operazione si
rafforzerebbe la coscienza democratica e la stessa pluralità di memorie sarebbe vissuto
come un vantaggio e non come un impedimento, come sostengono alcuni storici contemporanei.
La memoria, quindi è anche fonte
di storia. La storia orale, utilizzando i racconti individuali e collettivi, le
testimonianze, le modalità di espressione della cultura materiale, ricostruisce gli
avvenimenti in senso storico, ma, utilizzando parametri antropologici, analizza i racconti
di memoria e rappresenta anche levento del racconto, il contesto in cui questo è
inserito. La storia orale si è occupata in particolare del ruolo svolto nella grande
storia da quelle che Antonio Gramsci ha chiamato classi subalterne e i significati
dellautopercezione e dellautorappresentazione collettiva. Sono le storie di
coloro che non hanno mai avuto storia scritta, ma i vissuti, i percorsi autobiografici, i
ricordi di situazioni collettive, le testimonianze orali e scritte, i canti, i
comportamenti, le tradizioni e altro ancora offrono elementi per comporre il mosaico della
memoria collettive e rendere più articolato e complesso il processo di ricostruzione
storica di una situazione storica.
Note
1. V. Foa, Questo Novecento, Einaudi, Torino, 1996 torna su
2. P. Jedlowski, Storie comuni La narrazione della vita quotidiana, Bruno Mondadori, Milano, 2000 torna su
3. D. Demetrio, Raccontarsi
Lautobiografia come cura di sé, Cortina, Milano, 1996 torna su
4. M. Yourcenar, Memorie di Adriano, Einaudi, Torino, ed. 1998, p. 121 torna su
5. A. Portelli, Quando le parole
vengono incontro in Mi ricordo, supplemento a Diario della settimana, 27
gennaio 2001 torna su
6. G. Mantovani
Lelefante invisibile, Giunti, Firenze, 1998 torna su
7. M. Flores, Verità senza vendetta, Il Manifesto, Roma,
1999, p. 34) torna su
8. ibidem, p. 37 torna su
9. R. Bodei, Il noi diviso Ethos e idee
dellItalia repubblicana, Einaudi, Torino, 1998 torna su
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