La percezione del nesso storia-memoria

      In tale dimensione di complessità e problematicità, i dati, che si ricavano da una prima analisi delle interviste raccolte, segnalano che la maggior parte degli intervistati ha una percezione debole del nesso storia-memoria, con una difficoltà di lettura critica delle reciproche inferenze. In specie, gli insegnanti più giovani, non rintracciano un legame significativo tra la storia d’Italia del secondo dopoguerra e la propria biografia, mentre quelli che hanno vissuto gli "anni di piombo", esprimono un giudizio di fallimento del messaggio politico, ma non ne riportano una memoria personale. In conseguenza dell’assenza di una memoria collettiva condivisa e comunicabile all’esterno, la memoria autobiografica sembra perdere valore agli occhi dello stesso soggetto.

    Le scansioni periodizzanti indicate fanno riferimento ad avvenimenti politici, per lo più presentati secondo gli schemi stereotipati dei media. Il ’68, inteso come movimento degli studenti, viene citato da tutti, ma non vengono ricordati le lotte operaie, i movimenti femministi, le battaglie per i diritti, la strategia della tensione. Nella stessa logica, l’89 viene generalmente presentato come la conclusione dei processi storici del ‘900. Pressoché inesistente è il riferimento ai provvedimenti legislativi inerenti alle trasformazioni dell’istituzione scolastica, fatta eccezione per il decreto sull’insegnamento della storia contemporanea, del novembre 1996, che è considerato un elemento discriminante di un prima e di un dopo del lavoro del docente di storia.

    Sembra esserci la difficoltà a definire, per gli anni della repubblica, una memoria di generazione e quindi a costruire un’identità storica. E ciò coinvolge anche la possibilità di determinare che cosa meriti di essere ricordato e comunicato e, quindi, in questo caso, di essere insegnato. Lo iato di esperienza politica tra le nuove generazioni e quelle passate annulla la possibilità di interazione, di giudizi, di presa di posizione sul passato recente e anche sul presente, perché viene a mancare la riconoscibilità di un tessuto connettivo per la relazione tra giovani e adulti. Infatti, dalle interviste, traspare un profondo disagio di relazione nell’ambito scolastico, poiché una forte distanza generazionale tra insegnanti e studenti fa emergere orientamenti valoriali e linguaggi profondamente diversi. L’attuale società dell’incertezza e del lungo presente ha modificato (e il cambiamento accelerato è in atto) il senso del tempo e dei valori, non soltanto nella generazione più giovane, ma ha creato disorientamento negli adulti, trasformando i rapporti tra i ruoli. Molti docenti, soprattutto i più anziani, riconoscono che non hanno avuto all’Università una preparazione specifica sulla storia contemporanea e quindi rilevano una mancanza di conoscenza. Questo porta a dire che più che di deficit di memoria degli studenti, così come emerso dalle indagini curate da Alessandro Cavalli (10) si dovrebbe parlare di deficit di conoscenza storica non solo per gli studenti, ma anche per i docenti.

   Nelle risposte degli intervistati sono emerse alcune cesure di memoria, che attraversano la società dell’Italia repubblicana, in particolare tre sono le fasi traumatiche: la guerra fredda, il terrorismo e il crollo del comunismo. La guerra fredda ha fatto sì che, per lunghi anni, in cui più forte era lo scontro ideologico, la scuola non abbia mai trattato i temi del fascismo e del comunismo, attuando una sorta di fuga dalla storia contemporanea. Sono quelli gli anni del post-fascismo, dell’epurazione interrotta, delle ferite della guerra, della predominanza della cultura cattolica conservatrice, dell’ingerenza degli Stati Uniti e del ruolo del partito comunista più grande d’Europa. La seconda cesura è il terrorismo, entrato a far parte del tracciato personale di molti, che erano giovani negli anni ’70. Un’esperienza intensa, coinvolgente e stravolgente per le vite individuali e per un’intera generazione si conclude con la constatazione del fallimento non solo di tipo politico, ma anche culturale e morale e il riflusso nel privato, ma non vi è stata elaborazione a livello personale.

    E’ emerso anche un riferimento al craxismo degli anni ’80 come evento spartiacque, che comporta non solo un mutamento accelerato dei comportamenti politici e sociali, ma anche una trasmutazione delle funzioni e delle finalità della scuola. Vi è stata una modificazione della scala sociale dei valori, e la perdita della centralità educativa e culturale della scuola, per cui gli studenti non hanno più colto l’utilità della formazione scolastica per le loro prospettive di vita. Dopo la crisi della politica militante e la perdita di prospettive di futuro, è difficile per i singoli soggetti sentirsi protagonisti di storia, come al tempo dei movimenti giovanili degli anni sessanta – settanta, quando si percepiva una tensione collettiva a progettare il cambiamento e ad innovare gli strumenti della politica e della cultura.

    L’evento cruciale della storia del ventesimo secolo, sottolineato da tutti, è l’89, il crollo del comunismo, la fine di due sistemi politici e culturali alternativi, la liberazione dal dogmatismo ideologico; ma, nello stesso tempo, oggi, il riferimento per i ragazzi è ad un unico modello imperante, senza possibili confronti.

    Nell’attuale processo di globalizzazione economica e di omologazione culturale, come può allora agire l’insegnante per dare strumenti alla costruzione di una coscienza critica negli allievi in una scuola, che sia non solo luogo di cultura, ma anche di cittadinanza?

    E quale rapporto stabilire tra l’insegnamento della storia e i valori della società democratica? L’insegnamento è stato in passato e, in certe forme, lo è ancora oggi, parte dell’uso pubblico della storia, e richiama fortemente a una responsabilità educativa dell’insegnante per la formazione di una cultura dei diritti democratici nelle nuove generazioni. L’assunzione di responsabilità del docente sta anche nel dichiarare la propria soggettività di memoria e il proprio orizzonte di convinzioni, di sapere operare delle scelte di tematiche storiche, dando conto dei conflitti e delle contrapposizioni politiche, anche dei dilemmi degli individui e della storia, alimentando una visione pluralista degli avvenimenti, senza necessariamente accondiscendere al relativismo etico e culturale, che sembra investire anche l’insegnamento. Vengono, così, ad essere apertamente chiamate in causa le competenze dell’insegnante di storia, che ha bisogno di strumenti per conoscere il passato, ma anche per interpretare la complessità del presente, trovando linguaggi condivisi con gli studenti.

Note

10. Cfr. A. Cavalli (a cura di) I giovani e il tempo, cit. torna su