Neoconformismo


Jean-Marie Colombani, direttore di "Le Monde", in un'intervista rilasciata a un giornale italiano, giudica il giornalismo di guerra migliorato rispetto alla Guerra del Golfo, perché è maggiormente responsabilizzato dalla presenza dei profughi. Sottolinea che c'è un atteggiamento omogeneo della stampa internazionale e risponde anche all'accusa di neoconformismo per l'aperto appoggio dato dal suo giornale al governo francese.

I due brani sono tratti dall'intervista a Enrico Benedetto Il riscatto del giornalismo di guerra in "La Stampa", 20 maggio 1999.

Jean-Marie Colombani, il giornalismo di guerra ha invasato giornali, radio, tv… e si direbbe che non voglia smobilitare. Come lo trova? E' all'altezza del suo glorioso passato o annaspa malgrado l'hi-tech? Guardandosi attorno in Europa e oltreoceano, lei che dirige "Le Monde" vorrebbe dargli una lezione?

"No. Seguo abbastanza spesso la 'Cnn'. Ci sono reportage ma pure numerose tavole rotonde sui Balcani. Mi pare significativo che l'informazione televisiva non ricerchi l'effettaccio ma scopra con lodevole prudenza un modo complesso, e i problemi dietro le immagini. Bisognava riscattarsi, dopo la Guerra del Golfo. E a occhio i giornalisti - non solo tv - lo stanno facendo. La modestia è amica della competenza. Annunciare senza veli, per esempio, che un filmato da Belgrado ha da vedersela con la censura serba, rende un grande servizio ai telespettatori. Sì, definirei positivo il bilancio. Ma non dimentichiamo che in Iraq quasi non esisteva la dimensione "profughi". Se nel maggio '99 il giornalismo esce meglio dalla crisi bellica, lo si deve in buona misura proprio alla presenza responsabilizzante di civili kosovari".

Ma sposare in pieno la linea Blair-Schroeder-Jospin-D'Alema, e in definitiva Nato, vi appiattisce o no?

"Per una volta che appoggiamo - e a ragione - il governo, lasciatecelo fare in pace. Le assicuro, non è neo-conformismo. Chi attacca "Le Monde" denunciandone la voglia di "uniformità" si esprime in totale malafede. Il dissenso, nella fattispecie, non è una virtù. Significherebbe presentare i boia come vittime e viceversa. Sono affermazioni pericolose, nichiliste, da cui non lasciarsi fuorviare. Certo, la tragedia è anche serba. E noi la descriviamo utilizzando l'insieme delle testimonianze. I lettori conoscono la guerra vista dai serbi. E "Le Monde" pubblica prese di posizione favorevoli a Belgrado. Ma qui non è in gioco il pluralismo, bensì un popolo che si vorrebbe liquidare. Riconoscendo come legittimo l'intervento euroamericano, la gauche e la sinistra europea in generale stanno lasciandosi alfine dietro le spalle una lunga ipocrisia. Parigi deve inoltre farsi perdonare l'inescusabile partigianeria filoserba mitterandiana.malgrado le apparenze, Mitterrand aveva li cuore a destra: ecco l'ennesima conferma". 

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il giornalismo del dopoguerra