Raffaele Mantegazza  L'odore del fumo. Auschwitz e la pedagogia dell'annientamento Città aperta edizioni di Oasi editrice ( Troina-Etna),2001, pag.204,Euro :12,91

di Isabella D'Isola

    In questo libro l'analisi puntuale e circonstanziata del "dispositivo di annientamento" messo in atto nei lager, è sostenuta da una grande tensione emotiva e affettiva (verso i soggetti del processo educativo) che indica , pagina dopo pagina, come fine dell'educazione il progetto (e la cura) di esistenze autonome, solidali, resistenziali.

Le parole -chiave sono due e opposte: annientamento-resistenza, il cui legame può essere spezzato solo nel momento i cui la "resistenza" trasforma e modifica le relazioni politiche e le relazioni fra uomini in modo tale da neutralizzare l'annientamento. L'originalità del libro consiste nello svelare il dispositivo di annientamento, nel mostrare ciò che di tale meccanismo è sopravvissuto nelle società attuali e nell'indicare dei modi mediante i quali l'umanità possa difendere se stessa. L'odore del fumo intreccia quindi le caratteristiche di un testo di storia, di critica sociale, di politica e di pedagogia.

L'autore ci conduce attraverso un percorso che va dalla tragedia incommensurabile dei lager alla speranza (nata però dalla consapevolezza del contesto storico, economico e politico) di un cambiamento sociale; nodo centrale di tale percorso è improrogabile necessità di revisione autocritica della pedagogia e delle sue pratiche educative, implicitamente coinvolte col potere.

Dai capitoli iniziali emergono i punti di riferimento intellettuale di Mantegazza: oltre a W. Sofsky (L'ordine del terrore.Il campo di concentramento, Laterza, Roma-Bari 1993), frequenti sono i richiami alla Scuola di Francoforte, in modo particolare ad Adorno e a Marcuse, a Benjamin e a Foucault. Si può ipotizzare però che la trama profonda del testo consista nell'analisi dell'alienazione in senso marxiano, alienazione che diventa "assoluta" e "unica" nella specificità storica del lager.

La Shoah mostra la crisi della concezione della storia intesa come progresso inarrestabile dell'umanità: il carattere totalizzante del potere assoluto sperimentato nei lager costruisce un soggetto umano "scisso, frammentato, ferito, che procede da sé alla sua propria liquidazione"...(pag. 15) in base a uno "sterminio totale di senso, di annichilimento della persona, del popolo, delle idee..."(pag.16) In ciò consiste il risultato del "dispositivo dell'annientamento" che viene descritto come una pedagogia dell'annientamento volta alla "costituzione di un soggetto obbediente, integrato e agente della sua stessa eliminazione, che interiorizzi le categorie della sua stessa de-soggettivazione"(pag. 17).L' autore sostiene che tale dispositivo pedagogico è stato e è utilizzato dalle società  che si sono formate dopo l'esperienza di Auschwitz : da qui la necessità di ripensare la configurazione dei rapporti tra i poteri e gli individui.

L'autore, pur sapendo di metter in atto una forzatura,afferma: " ci troviamo di fronte a una sorta di esplosione delle categorie spaziali,temporali,simboliche del lager, che sarebbero poi ricadute a pioggia nelle istituzioni delle società cosidette democratiche, perdendo in leggibilità e identificabilità ma non in forza espopriatrice."(pag.18).

La struttura del lager viene indagata secondo sei ambiti-categorie fondamentali per l'annientamento: l'iniziazione, con lo choc dell'essere picchiati come bestie , denudati, depilati, tatuati; lo spazio, che è ridotto a zero nella prossimità dei corpi ammassati nelle baracche; il tempo, che diventa soprattutto tempo-reazione agli ordini contraddittori che vengono impartiti; i corpi,ridotti a pezzi di scarto e  impoveriti fino alla soppressione della differenza sessuale; le cose , ovvero le scarpe ferrate, il treno, la frusta, il fumo del camino; il linguaggio, urlato e assolutamente unidirezionale. Anche i bambini sono visti come pezzi di ricambio e quindi inutili come i pezzi di scarto.

Che cosa è rimasto di questi dispositivi nel mondo contemporaneo? Senz'altro le pratiche attuali del potere "producono" giovani che presentano una sorta di livellamento delle "coscienze oppositive", lavoratori che accettano come ovvio e immodificabile il lavoro post-fordista e che consentono che venga continuamente "disinnescato" il conflitto sociale. Forse si potrebbe aggiungere , come risultato di tali pratiche, l'incapacità dei più di prefigurare e desiderare qualcosa di diverso da ciò che c'è e di pensare l'utopia positiva. Le pratiche del potere formano l'individuo e non si limitano a reprimerlo o a distruggerlo come in altri momenti storici.Per tali motivi è indispensabile che la pedagogia ripensi se stessa e riveda il suo statuto epistemologico.

Il nazismo ha svolto una grandiosa operazione pedagogica  sui giovani dando loro una "fittizia identità adulta che passava attraverso i corpi nudi e atletici, le divise nere, i miti celtici..." ( pag. 41), ha fornito ai giovani molti oggetti di identificazione, accogliendo in qualche modo le aspirazioni al sacrificio e all'eroismo che spesso i giovani possiedono. Per noi ora è necessario rendere affascinante la democrazia, perché le istanze di partecipazione, di collaborazione e la consapevolezza della reciproca responsabilità siano presenti nei giovani in modo istintivo e spontaneo.

Tale è il messaggio forte di Mantegazza: il concetto di Resistenza non può essere riproposto secondo la prospettiva della storia antiquaria (secondo la definizione di Nietzsche): la nuova Resistenza deve partire proprio dalla ridefinizione degli ambiti-categorie su cui i nazisti hanno fondato la loro pedagogia dell'annientamento; si tratta quindi di capire in che modo lo spazio, il tempo, il corpo, il linguaggio, le cose possano produrre una nuova antropologia, che l'autore cerca di predisporre mediante l'analisi di quella che chiama "la fenomenologia della resistenza" (strategie, azioni, gesti, linguaggi resistenziali).

Per chi insegna questo libro è fonte di interrogativi che difficilmente possono trovare una risposta nell'immediato:forse è necessario imparare a resistere, preparando nel contempo il cambiamento dello stato di cose presente. Nella mente del lettore-insegnante e del lettore-pedagogista rimangono impressi i seguenti interrogativi: quali cambiamenti deve mettere in atto la pedagogia una volta riconosciute le strutture di potere pedagogiche realizzate nel lager? Quale modificazione dell'idea di "soggetto" ha prodotto il lager e che cosa sottende la pedagogia quando attualmente parla di "individuo"? "In che modo il lager ridefinisce le dimensioni esperienziali che vengono toccate dall'intervento formativo"? ( pag.157)

Mantegazza crea l'aspettativa di soluzioni radicali e forti, che necessariamente e parzialmente è delusa: tale è la pervasività dei poteri e la difficoltà di riconoscerli per dei soggetti sovente alienati e espropriati del proprio sé.