L'invenzione del nemico

Sessantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali
Roma, Palazzo S. Macuto - Sala del Refettorio, 3 dicembre 1998

Saluto del Presidente della Camera dei deputati

Sono davvero lieto che la Camera dei deputati ospiti questo convegno che ci aiuta a rafforzare il rapporto che stiamo costruendo con le giovani generazioni.
Saluto la presenza di Tina Anselmi, che coordinerà i lavori, e voglio ringraziare, assieme agli organizzatori del convegno ed ai relatori, tutti gli insegnanti e gli studenti partecipanti a questa giornata.
Soprattutto negli ultimi dieci anni, dopo il cinquantesimo anniversario delle leggi razziali italiane, la storiografia ha approfondito con impegno e rigore gli aspetti centrali di questa pagina tragica della nostra storia nazionale.
Ma in Italia, a differenza che in Francia, ad esempio, non ci siamo ancora posti l'interrogativo di come sia stato possibile, di fronte a questa legislazione dell'annientamento civile di una parte dei cittadini dello Stato, che la stragrande maggioranza degli italiani abbia adottato una posizione di silenziosa indifferenza.

Nel pomeriggio del 14 dicembre 1938 nell'Aula di Montecitorio nessun deputato chiese la discussione dei provvedimenti che convertivano in legge i decreti "per la difesa della razza" emanati dal governo nel mese precedente. Ci fu prima un lungo applauso e poi, qualche minuto dopo, il consenso unanime a scrutinio segreto espresso dai 351 deputati presenti.
Quei provvedimenti per la prima volta dividevano i cittadini in due categorie: i non ebrei e gli ebrei. Per i cittadini italiani classificati come ebrei era decretata la morte civile.

Per la prima volta si rompeva quell'unità nazionale che gli stessi ebrei italiani avevano contribuito a realizzare, partecipando a tutte le tappe della costruzione dello Stato unitario dal Risorgimento alla prima guerra mondiale. C'e una letteratura sulla incredulità e sulla sofferenza di quei cittadini di religione ebrea che avevano rischiato la vita nelle trincee della I guerra mondiale e che si vedevano così ripagati.

Sulla colpa collettiva dei tedeschi, ha osservato 10 anni fa Bobbio, si parla spesso e non si può proprio dire che il livello della discussione sia insoddisfacente. Sulle colpe di Mussolini, dei gerarchi e dei ministri fascisti c'e un'infinità di volumi. Ma sulle responsabilità e sulle colpe degli italiani - continuava - degli italiani presi uno ad uno che cosa si può leggere? E come si puo fare per capire? Ed è interessante notare che nello stesso articolo (La Stampa, 6 dicembre 1988) Bobbio aggiungesse un dato autobiografico alquanto significativo: "Nella città dove allora insegnavo (Padova), durante la guerra, apparve nel bar che frequentavo un awiso che proibiva 1'ingresso agli ebrei. 'Adesso strappo quel cartello', dissi fra me e me. Ma sono uscito senza averlo fatto. Non ne avevo avuto il coraggio. Quanti atti di viltà, di cosciente viltà, come questo abbiamo commesso allora?".

Alcuni vollero e seppero utilizzare gli spazi esistenti per contrastare quella legislazione che il Re promulgò senza esprimere alcuna riserva ed il Parlamento approvò coralmente, senza discussione. Ma si trattò di scelte isolate. La grande maggioranza preferì adeguarsi rapidamente alla legge cacciando, ad esempio, i docenti dalle università e dalle scuole e, come ammettono le stesse fonti fasciste dell'epoca, correndo il rischio di ritrovarsi in cattedra persone non preparate o di scarso valore intellettuale.

Tutti i sistemi totalitari inducono alla passività, all'indifferenza, svuotano le gerarchie dei principi civili e snervano la dignita.

Tuttavia quella passività non è in alcun modo giustificabile , anche perchè in tanti casi accanto ad individuali forme di lealtà civile e di solidarietà umana, ci furono veri e propri approfittamenti.
Nelle università ed in altri luoghi pubblici e privati, la messa al bando dei professori, dei funzionari e dei professionisti ebrei fu utilizzata dai concorrenti non ebrei per rapide ed impreviste carriere.

La Resistenza contro il nazi-fascismo e la successiva Liberazione hanno riscattato integralmente 1'Italia. Ma dobbiamo riconoscere che una societaà adulta, matura, come noi siamo, deve essere capace di riflettere sugli errori commessi nella propria storia.
Un'integrale conoscenza di queste pagine della nostra storia non deve essere utilizzata come strumento di lotta politica di una parte contro 1'altra, o di denigrazione o di autolesionismo.

Comprendere sino in fondo ciò che accadde negli anni della discriminazione e dell'indifferenza, approfondire le riflessioni sulle responsabilita, capire le ragioni della rimozione costituiscono gli elementi indispensabili per la costruzione di un nucleo di valori comuni attorno ai quali far crescere e rafforzare un'identità nazionale e repubblicana, che sia da tutti condivisa, perché il nostro Paese possa avere piu forza civile.

La Camera dei deputati ha voluto contribuire direttamente a questo sforzo con la pubblicazione, che avverra il 14 dicembre, di un libro destinato agli studenti delle scuole medie superiori che raccoglie le riflessioni dei Capi di Stato dell'Italia, della Francia, della Germania, di Israele, della Repubblica ceca e degli Stati Uniti e tre saggi sulla realtà ebraica in Italia, sulla legislazione razziale nel nostro Paese e sull'antisemitismo europeo coordinati da Corrado Vivanti. Accanto a questi contributi abbiamo voluto dare agli studenti gli strumenti per una conoscenza diretta della legislazione antiebraica, pubblicando le principali leggi italiane approvate, gli atti amministrativi e i lavori parlamentari sull'argomento.

L'obiettivo è quello di rinnovare la memoria e, partendo da una pagina dolorosa della storia del Novecento, richiamare la riflessione dei giovani sulla lotta al razzismo anche nella società contemporanea per contribuire alla costruzione dei valori comuni nell'Italia di domani.

Confidiamo inoltre nell'importante contributo delle comunita ebraiche italiane per la diffusione della conoscenza della Shoah tra le giovani generazioni in particolare attraverso la collaborazione alle iniziative di visite delle scuole ai campi di sterminio awiate, a partire da quest'anno scolastico, dal Ministro della Pubblica Istruzione.

Conoscere i fatti e i luoghi di questa pagina della nostra storia significa anche offrire alla riflessione delle giovani generazioni un elemento fondamentale per comprendere la storia di questo secolo.

Il `900 è il secolo in cui l'uomo realizza una straordinaria espansione dei diritti e delle libertà.

L'uomo raggiunge risultati straordinari sul piano della scienza e della tecnologia. Conquista la dimensione infinitamente grande dello spazio, e la dimensione infinitamente piccola delle infrastrutture dell'atomo e dei geni.

Ma il `900 è anche il secolo in cui crolla il mito della "ragione positiva".

Il `900 ci insegna che le regole della razionalità scientifica hanno un valore relativo poiche possono essere piegate al servizio di disegni di sopraffazione dell'uomo sull'uomo. Lo sterminio degli ebrei avvenne attraverso 1'applicazione rigorosa di principi di efficienza, attraverso un’organizzazione razionale", basata su una applicazione metodica e quotidiana di operazioni burocratiche che Hannah Arendt descrisse, nel loro insieme, come la "banalità del male".

Il giovane che non conosce la storia del `900 non conosce le spaventose contraddizioni che questo secolo porta in sè. E vivere in questa ignoranza significa correre due rischi opposti ma egualmente temibili.

Il primo e quello di continuare a coltivare un "mito di onnipotenza" dell'uomo e della sua razionalita illimitata. Di avere fiducia cieca nella crescita e nello sviluppo, senza porsi in modo consapevole il problema dei "limiti" dell'economia, della scienza, della tecnica, affidando la propria sorte a queste "forze motrici" prive di controllo.

Il secondo è quello di abbandonarsi all'irrazionalismo. Di rifiutare la scienza e la tecnica, considerandoli come mali in sè. Di perdere la fiducia nella ragione come capacità di conoscere per modificare in meglio la realtà.

La storia del '900 ci dice che l'intelligenza dei giovani di oggi deve essere un'intelligenza consapevole, vigile e attenta ai rischi involutivi della civiltà.

Primo Levi, nella premessa del volume Se questo è un uomo afferma che il lager "sta all'origine di un sistema di pensiero" e che esso è prodotto dalla convinzione che "ogni straniero è un nemico". Per Levi 1'essenza della deportazione è colta come il necessario "prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza". Fin dalla sua prima esperienza nel campo di Fossoli Levi sperimenta questo nesso e nota: "finche la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano".

Sui lager si è scritto piu che sul principio di discriminazione. Eppure Auschwitz non sarebbe esistito senza quel principio. Auschwitz nel suo universo di dolore pianificato e indicibile ci sembra non possa mai più tornare. Ma la discriminazione che è alla sua radice invece sì; a volte la vediamo sulle strade, negli stadi di calcio, qualche volta persino nelle scuole e allora anche la fiducia nella non ripetibilita di Auschwitz si incrina.

Il razzismo, infatti, è forse proprio 1'aspetto del fascismo e del nazismo che può ritornare e che può diventare lo scoglio più duro perchè il futuro sarà sempre più della multietnicità.
Uno dei caratteri fondamentali dell'umanità nei prossimi decenni infatti sarà il fenomeno migratorio.
All'emigrazione "povera", fatta di persone che sfuggono alla fame, alla miseria, alla persecuzione, si sommerà un'emigrazione "ricca" di professionisti capaci che sceglieranno nel mondo i lavori più soddisfacenti e più retribuiti. Per queste ragioni la multietnicità è il futuro del mondo ed i paesi più forti nell'economia, nella scienza e nella cultura, saranno e sono già oggi i paesi con un più alto coefficiente di multietnicità. Ma non tutti comprendono che questo è il futuro e che questo futuro dev'essere affrontato con serenità e fermezza, deve essere governato e non respinto.

Chi ha paura o non capisce può diventare razzista.

Piu che mai oggi è attuale, per dare concretezza alla dernocrazia, il richiamo alla lotta contro il razzismo e contro ogni forma di discriminazione. Non si tratta di riaffermare il vecchio concetto di tolleranza, che presuppone la divisione in tollerati e tolleranti. Occorre costruire il concetto ed il costume della convivenza tra diversi che si rispettano reciprocamente.

Non dobbiamo essere razzisti con i razzisti, ma dobbiamo conquistare al valore della convivenza e del rispetto reciproco anche chi invece è convinto di difendersi con il rifiuto e la diffidenza verso il diverso da sè. In questo modo possiamo concretamente sperare che non si costruiscano, ancora, i nemici.

Tuttavia un segno di fermezza su questo terreno è necessario. Spesso, negli stadi di calcio, nonostante le nostre leggi, ci sono striscioni razzisti, in cui addirittura si inneggia ad Auschwitz.

Non serve il processo penale. Mi chiedo se non possa disporsi in questi casi la sospensione della partita di calcio. Può darsi che serva.
Storici, sociologi, pedagogisti, dibattono molto sul ruolo e sulla funzione dell' insegnamento della storia per la formazione sociale e civile dei giovani.

Questo contributo di idee è fondamentale.
Ma dobbiamo avere consapevolezza che senza il lavoro quotidiano, costante, capillare degli insegnanti non è possibile tradurre in realtà quelle idee.

Solo attraverso il loro sforzo e la loro capacità la riforma sull'insegnamento del `900 nella scuola potra dare i frutti sperati.

Agli insegnanti spetta il compito, non facile, di individuare, nel rispetto dei programmi ministeriali, percorsi di lavoro che uniscano conoscenza approfondita dei fatti e lettura critica e ragionata degli avvenimenti. A loro è richiesta la capacità di inserire la storia nazionale in una dimensione europea e mondiale e di contribuire così alla formazione civile delle giovani generazioni.

Non possiamo ignorare lo sforzo richiesto agli insegnanti, la responsabilità culturale e civile che sta sulle loro spalle e il "servizio" che rendono al Paese.

Penso che sia dovere preciso di un Paese democratico - che pone consapevolmente la formazione dei giovani come priorità nazionale offrire agli insegnanti tutti i mezzi indispensabili per fare bene il loro lavoro e riconoscere a tutti i livelli il valore del loro impegno.

Insieme dobbiamo condividere 1'impegno affinchè nel presente e nel futuro essere diversi non significhi mai più essere discriminati.

La capacità di lottare contro la discriminazione è uno dei capisaldi della dignità di una nazione.

Sta al nostro lavoro comune farla divenire uno dei cardini nella formazione delle giovani generazioni, in quella trasmissione di valori, sentimenti, ideali che dà un senso alla vita e permette che la vita abbia un senso.

 

Programma Roma