Il vero problema della storia insegnata è,
invece, quello di ripensare il passato del mondo non come genealogia di singoli
soggetti (gruppi o generi non importa), ma come genealogia dell’umanità.
Questo compito eccede sicuramente le forze della didattica, della pedagogia e
dell’intercultura e investe direttamente i luoghi della produzione del sapere storico
oltre che le scelte politiche dei programmi.
La storia della didattica della storia mostra
abbastanza chiaramente che sino alla seconda guerra mondiale la comunità dei ricercatori
ha seguito molto da vicino le vicende della storia insegnata. C’era una guerra
mondiale da combattere e da vincere e questo ha mobilitato le comunità scientifiche
nazionali in tutti i paesi dell’Europa occidentale e degli Stati Uniti per la
costruzione di programmi di studio idonei a formare cittadini orgogliosi della propria
etnia e della propria cultura, pronti a difendere col sangue la democrazia. Terminata
la guerra si è registrato ovunque il ritiro delle comunità di storici dall’impegno
scolastico.
La storia-racconto è rimasta ovunque la
stessa, come al tempo della guerra, non è cambiata e non varia. Negli ultimi
cinquant’anni gli adeguamenti e le modernizzazioni sono stati affrontati da
psicologi, pedagogisti e insegnanti che hanno solamente rielaborato gli stessi contenuti
per renderli più comprensibili, più appetibili, più "vicini" agli studenti.
L’istanza interculturale interrompe
questa modalità di insegnare storia e richiede nuovamente l’impegno degli storici
per risolvere i problemi della storia da insegnare. Tuttavia questo impegno tarda a
manifestarsi per motivi vari:
- La storia insegnata richiede grandi concettualizzazioni;
- La professione dello storico lo porta a ricerche sempre più
particolareggiate;
- Lo stesso storico ha della storia insegnata un’immagine
tradizionale.
Quest’ultima affermazione si rispecchia
nel dibattito che negli anni più recenti ha accompagnato in Italia le riforme dei
programmi di storia. Quando a metà degli anni ottanta il ministro Falcucci propose di
insegnare nel biennio la storia contemporanea, furono proprio gli storici che coralmente
obiettarono che non si poteva iniziare un ciclo partendo dalla storia contemporanea, ma
bisognava rispettare la sequenza del modello lineare.Una delle paure più insistenti
manifestate dagli intellettuali e dagli storici a fronte della direttiva sulla
periodizzazione emanata nel ’96 è stata la seguente: se diamo troppo tempo allo
studio del novecento, non potremo adeguatamente conoscere l’età antica e il
medioevo.
Il modello temporale lineare che non
ha più cittadinanza in ambito scientifico, per gli stessi storici rimane dominante quando
pensano all’insegnamento della storia. Nella stessa comunità dove si
costruisce il sapere disciplinare manca la volontà e la strumentazione per intervenire in
sede educazionale. Quello messo in luce dalle istanze interculturali costituisce perciò
un problema reale legato a un deficit fondamentale di conoscenza. Pertanto qualsiasi
proposta oggi non può che assumere caratteri di provvisorietà e anche la nostra non fa
eccezione
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