Per una biografia di Luigi
Vittorio Bertarelli
Concetta Brigadeci
"La storia [...] ha perfino un
compito terapeutico, in quanto fornisce un antidoto, o un dispositivo per dare spessore e
profondità all'esperienza individuale, per mostrarne il suo tessuto connettivo con
l'universale. Essa riscatta l'individualità dei singoli e la mostra densa di storia:
lungi dall'essere ineffabile, l'individuo è l'essere più ricco di specificazioni.
Nell'incontro tra Erlebnis e storia il vissuto si contestualizza e il contesto si
individualizza, focalizzandosi su persone ed eventi particolari, sino a giungere alla
biografia. Ci si rende conto, in tal modo, dell'appartenenza ad un mondo comune, frutto
dell'attività di tutti e di ciascuno. Mediante queste operazioni "ermeneutiche"
quanto giaceva intorpidito o colpito dal rigor mortis nelle istituzioni e nella coscienza
riprende a respirare, risorge come un malato o come un Lazzaro da un passato di oblio.
Ogni comprendere storico apre a ciascuno un mondo con architetture di senso e sfumature
sempre diverse da quelle a cui era abituato. Per suo tramite, ognuno si ritrova come parte
di una realtà complessiva e misteriosa in cui è attivamente inserito" (Remo
Bodei, Se la storia ha un senso, Bergamo, Moretti&Vitali, 1997, p. 57-58).
Ormai il dibattito storiografico e
pedagogico non mette più in dubbio quello che Juri Lotman chiamava "il diritto alla
biografia" e Luisa Passerini "l'autobiografia di tutti", "come
potenzialità di narrarsi dando un senso alla propria vita e alla propria narrazione"
(L. Passerini, Storia e soggettività. Le fonti orali e la memoria, Firenze, La
Nuova Italia, 1988, p. 8).
Il problema didattico, sollevato anche da
Maria Teresa Sega (Ead., Raccontare la vita. Biografia e didattica della storia, in
"Storia e problemi contemporanei", n.17, 1996.), è quello di spostare l'accento
soggettivo e ravvicinato, proprio dell'autobiografia, verso una dimensione più distante
nel tempo e più propriamente storica. Non ci sono dubbi che la scrittura autobiografica,
oltre a dare senso storico agli studenti, fornisce anche strumentazioni utili per capire e
usare categorie temporali (evento, avvenimento, periodo, durata, mutamento e continuità
ecc.) anche attraverso la costruzione di linee del tempo applicate a fenomeni storici.
Tuttavia, la storia generale non offre la stessa micro-dimensione né fa vivere le
emozioni che il racconto di uomini, donne o bambini possono dare. Il coinvolgimento
emotivo, alla base di ogni conoscenza, viene a cadere se non si prova a soggettivare la
storia umanizzandola. Riscrivere la storia attraverso gli occhi, lo sguardo, l'esperienza
di un personaggio, importante o non, serve a restituire una dimensione soggettiva a fatti
storici o a eventi, anche insignificanti in sé, ma che acquistano significato all'interno
di quadri collettivi relativi alla cultura, alla mentalità, alla storia del lavoro ecc.
Gli addensamenti attorno alla biografia permetterebbero, così, di individualizzare il
contesto e contestualizzare il vissuto.
Perché ciò sia possibile è necessario
che gli strumenti di indagine e le fonti siano interdisciplinari e che si sia disposti ad
interrogare, per avere risposte alle proprie domande, immagini e testi letterari, diari e
saggi, statistiche e autobiografie o biografie.
La biografia è narrazione e ogni
narrazione va considerata a sé stante: è, cioè, innanzitutto una autorappresentazione o
autobiografia di chi l'ha scritta (EleniVarikas, L'approccio biografico nella storia
delle donne, in Paola Di Cori, Altre storie. La critica femminista alla storia,
Bologna, Clueb, 1996). Il rischio tanto temuto dell'empatia o dell'identificazione
con il soggetto/oggetto biografato può essere evitato se le biografie sono lette con
questa consapevolezza che crea la distanza giusta tra chi studia e il soggetto/oggetto
studiato.
L'interesse, quindi, si sposterebbe dalle
informazioni neutre che una biografia fornisce al come essa è narrata, alle
modalità narrative e linguistiche che svelano qualcosa sull'autore della biografia e sul
suo contesto, sulla sua cultura e sull'interpretazione relativa alla persona biografata.
Dal punto di vista metodologico, i problemi
epistemologici che la biografia solleva sono gli stessi posti da Natalie Zemon Davis
nell'analisi storica delle lettres de rémission (richieste di grazia al sovrano)
del XVI secolo:
"Vorrei che gli aspetti
"narrativi" divenissero il centro dell'analisi. Per "narrativi" (fictional)
non intendo elementi inventati, di finzione, ma vorrei piuttosto indicare l'altro senso,
più ampio, della radice di fingere: il dare foggia, il formare e modellare gli elementi,
l'abilità di costruire una narrazione. [...] tra i diversi tentativi di definire il
carattere della narrazione, possiamo concordare con Roland Barthes, Paul Ricoeur, Lionel
Gossman, sul fatto che per presentare un resoconto tale da apparire vero, reale,
significativo e/o esplicativo, tanto allo scrittore quanto al lettore, sono necessarie
scelte di linguaggio di dettaglio e ordine". (Natalie, Zemon Davis, Prefazione,
a EAD. Storie d'archivio. Racconti di omicidio e domande di grazia nella Francia del
Cinquecento, Torino, Einaudi, 1992, p. 7)
Nel nostro caso, è molto difficile
riconoscersi in ciò che Varikas scrive a proposito dell'uso della biografia nella storia
delle donne: riscoprire vite sconosciute, la loro quotidianità, normalmente non
considerata storica, con il rischio di empatia o identificazione con esse
ecc. Abbiamo letto il ragionamento di Varikas in senso contrario: Bertarelli è
conosciuto, è un personaggio pubblico, non è un mugnaio, non è una donna ecc. Pur
considerando utili i suoi suggerimenti, quindi, abbiamo trovato che delle varie biografie
narrate di L. V. Bertarelli si dovesse cogliere non il visibile, il narrato, ciò che è
apparso chiaro a tutti, ma ciò che sta dietro la sua figura, che l'ha resa quella che è,
o che ha permesso la realizzazione delle sue molteplici attività: la rete di relazioni,
la cultura, la famiglia. Dall'estremità apicale del prodotto della sua mente così
attiva, seguire la scia all'indietro o indagare ciò che ancora è poco conosciuto.
L'altro aspetto interessante, suggerito da Varikas, è quello di analizzare le
rappresentazioni di Bertarelli dal 1926 sino a tempi recenti: cogliere quindi l'immagine
della sua persona dalle biografie e dai necrologi così come è stata interpretata e
narrrata negli ultimi settanta anni.
Quello che si vorrebbe è, come scrive
Giovanni Levi (Id., A proposito di microstoria, in Peter Burke, La storiografia
contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 1993), ridurre la scala di osservazione ad
un'analisi microscopica e ad una lettura intensiva della documentazione, operare "una
selezione che esemplifica i concetti generali in un punto specifico della vita reale"
(p. 115). Lo scopo è aprire il dialogo con i nostri possibili lettori (insegnanti
studenti, studiosi) attraverso: 1) il racconto di fatti concreti che mostrano il
funzionamento di aspetti sociali, evitando le generalizzazioni; 2) il racconto delle
procedure della ricerca, dei limiti incontrati nella documentazione, dei problemi di
interpretazione ecc.
L'intento è di evitare l'oggettività
generalizzante di risultati compiuti e, invece, di esplicitare fino in fondo il punto di
vista di chi fa ricerca (non importa se si tratta di simulazione o di ricerca vera)
nonché il lavoro svolto nel suo processo con tutti i dubbi che lo hanno accompagnato
(rischio dell'incompiutezza e del "non sapere dove si va a parare" ecc.).

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