Sapere e saper fare
Tra le diverse proposte
di modelli didattici quello della "ricerca" mi sembra il
più rispondente alle esigenze di sperimentazione, trasformazione e
riqualificazione dell’ insegnamento della storia, rivolte a
rinnovare globalmente la funzione culturale ed etico-civile della
scuola. Il modello didattico della "ricerca" più di altri
consente di praticare l’ esercizio creativo della razionalità
storica e di far maturare nei giovani una forte coscientizzazione,
intesa come consapevolezza di una nuova cittadinanza nel territorio
vissuto e nel mondo, che è sempre più di dimensione insieme locale e
planetaria.
La didattica della
"ricerca" in classe chiama in causa la capacità culturale e
professionale del docente di ripensare l’insegnamento della storia e
di orientarsi ad insegnare secondo epistemologia. Ho condensato
tale modello nella formula
La storia come ricerca nella scuola come laboratorio. Ricerca e
laboratorio sono parole che richiamano la scientificità e questa l’epistemologia.
Per cui la garanzia di una buona cultura storica a scuola è data
dalla necessità di insegnare secondo epistemologia: epistemologia
storica ed epistemologia didattica. Si tratta dei due "assi
cartesiani" che legano inscindibilmente la storia come scienza
sociale alla didattica di senso "scientifico" (o critico),
la quale consente di superare il tradizionalismo didattico a favore
dell’innovazione, che consiste nell’insegnare per progetti secondo
una rigorosa metodologia di progettazione e sperimentazione sensata
("sensate esperienze e necessarie dimostrazioni" diceva già
Galilei).
Nella prassi
consolidata e diffusa la didattica di senso comune sottende, in modo
implicito o esplicito, un modello debole che corrisponde quasi
esclusivamente all’insegnamento e apprendimento - più o meno
passivo - della storia generale, condensata nel manuale. Il modello
forte, che è ispirato dalla cultura della complessità, prospetta
invece "la storia come ricerca nella scuola come
laboratorio" ed è rivolto ad insegnare secondo epistemologia da
parte del docente ricercatore, sperimentatore e innovatore, che
è tutto da creare, o forse da scoprire nel senso che in parte già
esiste nel "sommerso" della scuola italiana, in cui si
praticano anche significative esperienze di autoriforma, in
genere poco conosciute. Nella formazione culturale di tale docente gli
"assi cartesiani" dell’epistemologia storica e dell’
epistemologia didattica riconoscono e rilevano un modello ricco della
storia insegnata, che intreccia la storia generale con la storia
settoriale, la storia mondiale con la storia locale, la ricerca
storiografica con la metodologia storica, la saggistica storica con la
ricerca didattica, ecc., creando un ordito complesso e culturalmente
fecondo, il quale non può che avere buone ricadute formative sugli
allievi.
E’ impresa forse
difficoltosa, ma non impossibile, mettere in atto i modelli teorici
globali nella concreta azione didattica, che è caratterizzata da
limiti orari e da rigidità di varia natura (materiali, culturali,
psicologiche, ecc.). Con molto realismo si può incominciare
sperimentandone un segmento; per esempio, la connessione tra la
storia generale (macrostoria) e la storia locale (microstoria). In
questa sede possiamo dare per scontate le motivazioni culturali e
formative della storia generale e mondiale. E’ utile sottolineare,
invece, quelle relative alla storia locale, su cui hanno dato
contributi rilevanti studiosi, attenti ai problemi specifici dell’insegnamento
scolastico, come Giuseppe Serri, Ivo Mattozzi e Piero Bevilacqua.
Secondo quest’ultimo, "l’inserimento della storia locale nei
percorsi della storia generale potrebbe costituire un elemento
importante nella formazione delle strutture cognitive degli allievi. E’in
questa intersezione di locale e universale che gli studenti possono
imparare ad apprendere, attraverso la storia, alcuni meccanismi
fondamentali della conoscenza, che sono poi anche modi di procedere
della scienza: il gioco continuo di particolare e generale, concreto e
astratto"1. In relazione
alle ragioni educative della storia locale Giuseppe Serri sottolinea i
valori dell’ identità e della diversità. "Le radici e la
memoria storica rappresentano quindi i collanti di questa identità
collettiva, che lega affettivamente l’individuo al suo villaggio,
alla sua città, alla sua regione, alla sua nazione. Così come nell’individuo
singolo, anche nella collettività il senso della continuità e dell’
identità con se stessa è condizione indispensabile per muoversi nel
presente, per capire i caratteri della propria realtà attuale, e
insieme collegarsi alle altre realtà, per capire la diversità
altrui, per cooperare con l’esterno. In questo senso, l’identificarsi
con una determinata collettività non esclude - non deve escludere -
identità più ampie. I legami, sentimentali, culturali e politici,
che sostanziano la nostra identità nazionale, ad esempio, non sono di
per sé in contraddizione con i vincoli che ci legano alla nostra
regione, al nostro villaggio, alla nostra famiglia. Si può - e si
deve - essere un buon sardo e insieme un buon italiano, un buon
europeo, un buon cittadino del mondo: anzi, direi che essere un buon
sardo (o napoletano, o friulano, o che altro) è condizione essenziale
per essere un buon italiano, nello stesso senso in cui essere se
stessi, essere coscienti delle proprie caratteristiche personali e
specifiche, è condizione per dialogare con gli altri, per capirli,
per ascoltarli, per accettarne la diversità, per cooperare e per
stringere rapporti di comunione civile"2.
Una nuova idea di cittadinanza, dunque, come intreccio dialettico
di identità e differenza, di solidarietà e tolleranza: è uno dei
contributi del sapere storico all’educazione ai valori, rivolto a
sviluppare una coscienza civile come rivendicazione etica della
convivenza democratica.
Ivo Mattozzi, in
aggiunta alle ragioni epistemologiche e formative, ha indicato quelle
metodologico-didattiche, corrispondenti, in sintesi, all’acquisizione
della "padronanza di conoscenze + consapevolezza di come esse
sono prodotte + capacità di usare le conoscenze per mettere in
prospettiva il presente + capacità di usarle per argomentare propri
punti di vista + padronanza di meccanismi generativi delle conoscenze
storiche". Ciò attraverso diverse fasi operative, come la
preparazione di competenze, l’acquisizione di conoscenze extrafonti,
la tematizzazione e problematizzazione, la ricerca e l’individuazione
delle basi documentarie, l’uso delle fonti e la produzione di
informazioni, la loro elaborazione e strutturazione, la comunicazione
delle conoscenze costruite, ecc.3.
E’la scommessa, cara a Mattozzi e da me ampiamente condivisa
alla luce dei risultati conseguiti, di trasformare gli studenti in
"piccoli storici".
Non si possono,
tuttavia, negare le obiezioni e nascondere i rischi della storia
locale a scuola, che sono state ben evidenziate da Giulio Ferroni, per
il quale le rivendicazioni delle specificità delle situazioni locali
hanno spesso fornito spunti per spinte municipalistiche,
particolaristiche, egoistiche e populistiche4.
Alle quali va contrapposta l’impostazione che è riassunta
efficacemente nella formula ecologista-ambientalista "Pensare
globalmente e agire localmente", la quale impegna a coniugare la
storia locale tra particolarismo e planetarizzazione, a sviluppare la
dialettica tra i mondi locali e il mondo globale, a misurarsi sempre
di più con la nuova categoria del "glocale", portatrice di
notevoli potenzialità culturali e formative nell’attuale fase di
transizione epocale, che impone la dilatazione delle dimensioni
temporali e spaziali e la capacità, quindi, di collegare il
passato con il presente, il locale con il planetario, di cui la scuola
che si rinnova dal suo interno deve farsi interprete rigorosa secondo
le esigenze del curricolo verticale (elementari, medie e superiori: in
progressione, dall’approccio predisciplinare a quello più
propriamente disciplinare, dalla dimensione pluridisciplinare a quello
interdisciplinare) e le potenzialità di quello orizzontale (a partire
dall’area geo-storico-sociale), le quali consentono di realizzare
"sensate esperienze" di ricerca didattica particolarmente
significative.
Ma cosa significa
fare ricerca a scuola? Qual è lo specifico della ricerca
didattica? In questo contesto intendo la parola "ricerca" in
due significati distinti e complementari: quello generale e quello
particolare.
a) Il primo richiama la
necessità di orientare l’insegnamento e l’apprendimento a
individuare gli elementi della complessa struttura disciplinare della
storia: è la dimensione propriamente del sapere, che corrisponde alla
"grammatica" della cultura storica, la cui
acquisizione equivale al controllo delle strutture epistemologiche
della disciplina;
b) il secondo e più
specifico è legato alla "sintassi", il cui possesso
prospetta la capacità di riconoscere e applicare le regole e le
convenzioni che sono alla base della produzione del sapere storico,
per sviluppare la dimensione del saper fare, come capacità di
produrre qualcosa di originale.
Dal sapere complesso
(riferito alla storia generale come macrostoria) al saper fare
semplificato (identificabile con la ricerca "simulata" o
"limitata" nell’ambito soprattutto della storia locale
come microstoria), dunque: questo mi sembra lo spettro entro cui far
interagire l’epistemologia storica con l’epistemologia didattica
come pilastri su cui costruire un insegnamento della storia rinnovato
e capace di aprire straordinari orizzonti culturali nei giovani in
formazione. Va rimarcato che in questa prospettiva
il saper fare ("ricerca" in senso particolare e
specifico) presuppone il sapere ("ricerca" in senso generale
e complesso) costituisce quindi solo uno degli obiettivi, forse il
più alto (ma non certo l’unico), di una rinnovata proposta di
formazione storica a scuola, che (nella consapevolezza della
differenza tra la ricerca specialistica o accademica e la
"ricerca" didattica o scolastica) giustifica e fonda l’educazione
al recupero della memoria storica sui pilastri dell’ educazione alla
"ricerca", dell’ educazione alla scrittura di tipo
saggistico e dell’educazione alla coscientizzazione ambientale
(quando viene posto al centro lo studio del territorio di appartenenza
come un segmento del pianeta). In questa breve nota mi limito ad
accennare al perché e al come perseguire questo obiettivo
"alto".
Un progetto
realizzato e generalizzabile
Da circa un decennio ho
sperimentato il modello didattico della "ricerca", intesa
anche nel secondo e particolare significato, nell’ambito del
Laboratorio di storia attivato nel Liceo Scientifico "S.Allende"
di Milano, attraverso la realizzazione graduale di diverse tappe del
progetto complessivo denominato La città nello spazio e nel tempo,
all’interno della programmazione curricolare di Storia, a livello
strettamente disciplinare, o in collaborazione con altre materie (come
Italiano e Disegno-Storia dell’Arte) rispetto a cui la Storia ha
svolto un ruolo propulsivo in prospettiva pluridisciplinare. Il
territorio urbano (con particolare riferimento ai quartieri della
periferia sud di Milano, in cui si colloca il Liceo) si è rivelato
particolarmente ricco di stimoli e di possibilità di realizzazione di
esperienze significative di ricerche di storia locale (intesa
soprattutto in senso ambientale e rapportata al nuovo campo di
indagine dell’ecostoria), toccando tematiche rilevanti come quelle
della Resistenza, dei beni culturali e, soprattutto, dell’industrializzazione5.
Partendo da singole
unità produttive (grosse e medie come la storica cartiera Binda e la
famosa fabbrica meccanica Grazioli, produttrice degli omonimi torni)
si è voluto ricostruire le fasi del processo storico di
industrializzazione che, dalla metà dell’Ottocento, ha
caratterizzato il territorio milanese, il quale si trova oggi
investito dalla spinta inversa della deindustrializzazione, nella
trasformazione epocale della globalizzazione, che ha profonde ricadute
di natura economica e sociale, rispetto alla quale la cultura
scolastica non può restare estranea; è anzi chiamata a ripensare la
sua funzione formativa ed etico-civile nella dimensione locale e
universale del nostro vivere civile nel mondo, che è sempre più un
pianeta da salvaguardare per le future generazioni.
Ripercorrere, sulla
base delle indispensabili conoscenze di storia generale, le tappe
dalla nascita alla morte di una fabbrica "fordista"
significa aprire la cultura scolastica al territorio e alla storia
dell’impresa, rendere operativa l’idea di laboratorio didattico,
immergersi nel tessuto industriale, ambientale e sociale di una città
in crisi di identità, tentare di capire le trasformazioni della
metropoli che cambia "pelle" assumendo quella del cosiddetto
"terziario avanzato", appropriarsi di frammenti di storia
industriale e di vita operaia; significa reggere l’impatto con la
desertificazione produttiva di ampie periferie corrispondenti alle
"aree dismesse" (l’unico e poco "accogliente"
rifugio per immigrati irregolari, clandestini e disperati), su cui
converge la pressione della speculazione edilizia e finanziaria o la
forza politica e amministrativa della pianificazione urbanistica di
una città postmoderna; significa entrare negli scenari del
postfordismo e capire le logiche, più o meno perverse, del
"lavoro autonomo di seconda generazione"; significa,
insomma, imparare a leggere e a vivere la città sempre più
mondializzata.
Attraverso un lavoro
del gruppo-classe coordinato si può condensare la ricerca in un vero
e proprio libro, di valore scientifico-divulgativo, secondo una
metodologia di lavoro rigoroso che è compito del/i docente/i mettere
a punto, a partire dal problema delle fonti, finalizzato a perseguire
l’obiettivo strategico dell’educazione alla scrittura saggistica
come uno dei corollari dell’educazione alla "ricerca", la
quale costituisce il fulcro dell’innovazione. Si tratta di saper
individuare e mettere in atto senza improvvisazione le sequenze
operative necessarie e idonee: dall’individuazione delle condizioni
preliminari alla valutazione delle potenzialità del "materiale
umano", dalla delimitazione del gruppo di lavoro (per lo più una
classe) alla scelta del tema, dall’avvio della ricerca al
trattamento delle fonti (scritte, orali, materiali, multimediali,
ecc.), dal coinvolgimento delle discipline curricolari (a partire dal
ruolo centrale della Storia) all’indicazione dei tempi e del carico
di lavoro per "i piccoli storici", dalla lettura di libri e
articoli al reperimento di documenti "sul campo", dalla
produzione di elaborati per sottotemi all’armonizzazione delle parti
dando vita a un testo organico, dalla stampa dello stesso alla
socializzazione dei risultati attraverso la loro presentazione in
pubblico da parte dell’équipe di lavoro (studenti e docenti),
davanti a cittadini, studiosi, amministratori, ecc. Per trasformare
la scuola in un luogo oltre che di "consumo" anche di
"produzione" culturale.
Come ho ampiamente
verificato in quasi un decennio, praticare la didattica della
"ricerca", intesa anche in senso particolare e specifico
(almeno una nel ciclo scolastico triennale della secondaria
superiore), è un modo concreto e proficuo di ripensare l’insegnamento
e apprendimento della storia, di segnare cioè i contorni di un nuovo
paradigma didattico restituendo valore culturale e formativo ad una
disciplina scolastica che, secondo la didattica di senso comune ancora
dominante, dopo undici anni di studio (dalla terza elementare alla
fine delle superiori) non fa maturare una cultura storica degna di
questo nome. Significa fissare alcuni capisaldi come altrettanti punti
fermi (ad esempio, l’intreccio tra epistemologia storica e quella
didattica, tra mondo globale e realtà locali, tra sapere e saper
fare, tra storia e memoria, tra passato e presente; gli indicatori del
Novecento e della complessità del mondo contemporaneo, il rapporto
tra storia ed etica, il compito formativo e l’uso pubblico della
storia, ecc.) legati in una visione "olistica" che,
valorizzando le esperienze realizzate e riprogettandone altre, metta
in gioco le potenzialità di un artigianato didattico6
inteso come cantiere aperto di "lavori in corso", guidato da
un buon "direttore dei lavori", in un rapporto (verticale e
orizzontale) tra docente e studente di doppia centralità, che è un
modo di lavorare insieme e vivere esperienze di democrazia culturale a
scuola, ispirate dal valore della responsabilità nella ricerca di
nuove forme di cittadinanza adeguate al passaggio di civiltà che
stiamo vivendo nelle città e nel mondo.
Dunque, educazione
alla "ricerca" come educazione alla responsabilità: un
modo per rinsaldare l’unione tra istruzione e educazione, come
guadagno e cifra di una scuola rinnovata e riqualificata. Lavorare
oggi in questa prospettiva per i docenti, capaci di interrogarsi e di
rinnovarsi, può equivalere a liberarsi dalla sindrome depressiva
della fuga e maturare la convinzione che "la riforma siamo
noi", nella consapevolezza che i veri problemi della scuola
sono, prima ancora di quelli legati all’ingegneria istituzionale,
quelli culturali e formativi. E’ la prospettiva di un lavoro
difficile ma bello, come dice Le Goff (di questi tempi va ribadito),
soprattutto se alla fine dell’anno, o di un ciclo scolastico, ci
consente di ripetere agli studenti le parole scritte da Gramsci al
figlio: "Io penso che la storia ti piace, come piaceva a
me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e
tutto ciò che riguarda gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra
loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi, non può
non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così?"7.
Si tratta, dunque, di
scoprire il piacere della "ricerca" per rimotivare i giovani
in formazione e per rinvigorire una professione che non è solo di chi
la esercita, per la sua natura etico-civile (che non può essere
dimenticata o perduta).
NOTE
1
P. Bevilacqua, Sull’ utilità della storia per l’avvenire
delle nostre scuole, Donzelli Ed., Roma 1997, p. 72. torna
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2
G. Serri, In tema di storia"
minima", prefazione a F. Sonis, Uras. Un paese del
Campidano tra XIX e XX secolo, Ed. Della Torre, Cagliari, 1994, p.
11. torna su
3
I. Mattozzi, Che il piccolo storico sia!, "I viaggi di
Erodoto", n. 16, 1992, pp. 170-180 e La cultura storica: un
modello di costruzione, Faenza Ed., Faenza 1990, p. 33. torna
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4
Cfr. G. Ferroni, La scuola sospesa.
Istruzione, cultura e illusioni della riforma, Einaudi, Torino
1997, pp. 108-9. torna
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5
Cfr. G. Deiana, Io penso che la storia ti
piace. Proposte per la didattica della storia nella scuola che si
rinnova, Ed. Unicopli, Milano 1997. torna
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6
Cfr. G. Deiana (a cura di), La ricerca
storica. La scuola come laboratorio Ed. Polaris, Faenza 1999. torna
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7
A. Gramsci, Lettere dal carcere,
Einaudi, Torino 1978, p. 294. torna
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